Caso Mesinovic, l’ex moglie di Ismar: «Era aggressivo e mi picchiava»
Nelle motivazioni della sentenza Veapi compare il racconto della compagna di Mesinovic sull’ultimo periodo a Belluno
BELLUNO. Aveva aumentato il tempo dedicato alla preghiera e quello davanti al pc collegato a Internet. Era cambiato di aspetto, facendosi crescere la barba, ma anche e soprattutto di carattere. «Mi obbligava a uscire da casa indossando il velo islamico e soprattutto era notevolmente più aggressivo con me, limitandomi nei movimenti e picchiandomi quando io gli rispondevo»: lo ha raccontato agli investigatori a gennaio 2014 Lidia Solano Herrera, la ex moglie cubana di Ismar Mesinovic, l’imbianchino partito il 15 dicembre 2013 con il figlio da Longarone per andare a combattere in Siria con l’esercito dello Stato Islamico, dove ha trovato la morte a gennaio 2014. Uno stralcio della deposizione della donna è stato riportato dal giudice per l’udienza preliminare veneziano Massimo Vicinanza nelle motivazioni della sentenza di condanna dei presunti reclutatori dell’Isis Ajha Veapi (4 anni e 8 mesi) e Rok Zavbi (3 anni e 4 mesi). Il giudice ha voluto così dimostrare che la pietra miliare del processo di radicalizzazione di Mesinovic (così come di Munifer Karamaleski, partito da Palughetto di Chies d’Alpago) sia stata l’incontro con l’imam del terrore Bilal Bosnic.
«Mio marito mi riferiva che sarebbe partito per la Bosnia in quanto sarebbe dovuto andare a prendere l’imam Bilal Bosnic per poi portarlo al Centro islamico a Pordenone (all’incontro organizzato da Veapi,
ndr
)», ha raccontato la donna agli investigatori, «Ricordo che quel giorno mio marito partì la mattina, facendo rientro la sera dello stesso giorno, fermandosi poi a Pordenone e rientrando a casa alle 8 del giorno dopo. Mi riferì che avevano passato la notte pregando e parlando con gli amici».
Quell’incontro con l’imam del terrore sarà il punto di non ritorno per Mesinovic. «Da quel giorno i nostri rapporti si sono man mano incrinati, lui stava a casa collegato quasi sempre al computer, aumentava il periodo della preghiera e faceva pesare a me il mio comportamento non consono ai precetti islamici. Io infatti sono cattolica. Ha incominciato a cambiare anche notevolmente di aspetto, a far crescere la barba lunga, spesso rientrava a casa sporco di terra». Dopo il primo incontro con Bosnic alla fine di maggio 2013, secondo quanto riferito da un testimone e riportato nella sentenza, Mesinovic era stato altre volte in Bosnia per incontrare Bosnic. «Il passaggio successivo compiuto da Mesinovic», scrive il giudice, «era stato quello di ottenere il divorzio dalla moglie, visto che vigente vincolo matrimoniale, secondo l’ortodossia di Bosnic, non gli era permesso di andare in Siria». L’ultima telefonata prima di lasciare l’Italia era stata a Veapi. Una volta nel teatro di guerra, Mesinovic era stato assegnato a un posto di vigilanza. Nella sentenza viene citata una foto che lo ritrae morto «unitamente ad altri combattenti europei parimenti uccisi in un agguato loro teso da fazione irregolare (Free Syrian Army), allora contrapposta a quella dell’Isis».
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