Castello di Ponte: l'Antimafia contro il dissequestro

Ponte nelle Alpi, il pm Zorzi ha fatto ricorso alla Corte d’Appello contro la sentenza del Tribunale del Riesame

PONTE NELLE ALPI. La Direzione Distrettuale Antimafia di Venezia ha impugnato il dissequestro dei beni di Francesco Manzo, sentenza del tribunale del Riesame di Padova. Il pubblico ministero Giovanni Zorzi, che aveva coordinato l’inchiesta con il conseguente sequestro di beni immobili per 130 milioni in odor di mafia, ha fatto ricorso alla Corte d’Appello di Venezia. Dunque i sigilli restano, nelle decine di alloggi della Torre Belvedere di Padova, come al Castello di Ponte nelle Alpi.

L’inchiesta. Francesco Manzo, 70 anni, campano residente a Padova, reddito da pensionato di 15 mila euro annui, gestiva flussi milionari che investiva in operazioni immobiliari. Era sospettato di avere legami con clan camorristici e di riciclaggio di denaro sporco. La misura di prevenzione del sequestro patrimoniale era stata sollecitata dalla Procura distrettuale antimafia di Venezia sulla base di una meticolosa indagine condotta dai carabinieri del Nucleo investigativo di Padova. Come poteva un semplice pensionato gestire una quantità tale di aziende e proprietà? Si tratta di proprietà frazionate in un numero infinito di società, tra cui figura anche la Centro Servizi Interporto srl proprietaria del centro “Onda Palace”.

Sequestro e dissequestro. Dopo anni di accertamenti lo scorso mese di febbraio è scattato il sequestro dell’ingente patrimonio. Ma la scorsa settimana il tribunale del Riesame di Padova nel ruolo di giudice della prevenzione (presidente Alessandro Apostoli Cappello, giudici a latere Stefanutti e Lazzarin) ha respinto il sequestro dei beni societari sparsi tra il Veneto e il resto d'Italia riconducibili a Manzo. I giudici hanno accolto la tesi sostenuta dai difensori, il professor Giovanni Caruso dell’Università di Padova e l’avvocato Ferdinando Bonon, che avevano depositato corpose memorie e consulenze contabili. Secondo gli inquirenti le provviste finanziarie, sulle quali hanno potuto contare le società del “gruppo Manzo”, erano «attività illecite riconducibili alla criminalità organizzata». L’inchiesta veneziana, però, è stata archiviata il 19 marzo per «gli elementi di fragilità nel legame tra Manzo e ambienti della criminalità organizzata attraverso il genero» scrivono i giudici, rammentando che «il procedimento di prevenzione è autonomo rispetto a quello penale... e non comporta l’automatica esclusione della pericolosità sociale». Da qui la decisione di procedere al dissequestro. Provvedimento a cui si oppone la Direzione distrettuale antimafia.

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