Castro: «Senza credito l’azienda chiude»
MEL. «Le banche decidano con assoluta urgenza di intervenire a supporto del salvataggio dell’azienda, altrimenti la produzione dello stabilimento dovrà essere irrimediabilmente fermata».
L’appello-ultimatum di Castro. È un appello accorato, che suona come un ultimatum, quello inviato ieri dal commissario straordinario dell’Acc di Mel, Maurizio Castro, a tutte le banche, affinché si decidano a dare la fiducia a «un’azienda che è viva, leader nel mercato europeo del compressore per tecnologia progettuale e affidabilità produttiva. Un’azienda che nel 2014 tornerà al pareggio industriale e sarà pronta per l’alleanza e l’integrazione con un forte partner internazionale, garantendo al territorio e al settore dell’elettrodomestico italiano la continuità di un formidabile patrimonio di competenze costruito in oltre 40 anni di storia e di eccellenza». Castro non nasconde che la banche «coinvolte per decine di milioni di euro nell’insolvenza della vecchia Acc», facciano fatica ad essere fiduciose, «ma siamo certi, che non saranno negati pochi milioni alla nuova Acc, che ne ha drammatico bisogno, ma soprattutto li merita fino in fondo».
Le cause del dissesto di Acc. Il commissario non lesina le critiche alla precedente amministrazione della società. «L’azienda è stata stremata nell’ultimo decennio da una proprietà attenta solo alle dinamiche finanziarie di breve termine, che ha espresso una conduzione farcita di drammatici errori. Ma grazie alla coraggiosa scelta del Governo, supportata da tutte le istituzioni locali e da tutte le parti sociali, di procedere alla sua ristrutturazione attraverso l’amministrazione straordinaria, ora Acc può essere salvata e rilanciata». Ma per farlo serve la liquidità: «Rispetto ai miliardi di fatturato dell’azienda, il prestito chiesto alle banche è poca cosa, oltrettutto siamo protetti dalle speciali garanzie offerte dalla legge Prodi».
Di quelle risorse c'è davvero bisogno, ora che gli 864 mila euro dovuti per la vendita dello stabilimento cinese sono ancora in mano agli austriaci (Castro avrà un'udienza al tribunale di Graz nei prossimi giorni: «Siamo al limite dell'appropriazione indebita», dice) e che dei 2,2 milioni di Iva dovuti ne arriveranno soltanto 800 mila, poiché il resto rimane bloccato per la presenza di contenziosi.
Il richiamo alla responsabilità. Il commissario straordinario richiama le banche alla responsabilità. Richiamo condiviso anche da Confindustria Belluno. «L’omissione di soccorso sarebbe del tutto incomprensibile, proprio nel momento in cui l’azienda, grazie allo straordinario sforzo corale di tutti i suoi protagonisti, non solo consegue significativi successi sul mercato con i suoi prodotti, ricevendo commesse rilevanti dai principali produttori europei di frigoriferi, ma è al centro dell’interesse di grandi gruppi internazionali, che stanno valutandone l’acquisizione. La settimana scorsa abbiamo avuto la visita di produttori turchi e nei prossimi giorni arriveranno due delegazioni cinesi. Se i soldi arrivano, salderemo i nostri debiti coi lavoratori, che lo meritano», conclude Castro.
Lavoratori allo stremo. A fare le spese per questo clima d’incertezza, ci sono i 600 lavoratori che ieri, appena saputo della drammatica situazione in cui versa lo stabilimento, hanno tempestato di telefonate i sindacalisti per saperne di più. La paura e l’esasperazione dei dipendenti è ormai al limite. E il timore è che in cassa da anni, senza stipendio da tre mesi e con l’incertezza incombente sul futuro, qualcuno con maggiori difficoltà possa tentare qualche azione estrema. «Qui ci sono molti che hanno dovuto impedire ai figli di studiare perché non hanno i soldi e qualche altro non si cura perché non può pagare il ticket», dice Giorgio Bottegal della rsu Fiom Cgil. «Vogliamo capire il motivo di questa reticenza delle banche: non ce la facciamo più ad andare avanti così».
Sindacati preoccupati. Le segreterie di categoria sono a dir poco preoccupate. «Questa comunicazione di Castro sarà appesa alle bacheche dello stabilimento oggi e poi ci troveremo anche con le rsu per decidere cosa fare. Non è possibile pensare che una fabbrica debba chiudere e 600 lavoratori andare a casa e non per la mancanza di lavoro, di commesse o della fiducia di fornitori e clienti, ma perché sono le banche a decidere la sorte di tutti. Questo dovrebbe farci riflettere sul fatto che il vero valore è il lavoro, non la finanza», dice Luca Zuccolotto della Fiom. Gli fa eco Bruno Deola della Fim Cisl: «Siamo in balia della speculazione finanziaria. È inconcepibile che le banche tergiversino in questa maniera, giocando col destino di 600 persone».
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