C’è un po’ di Umberto Lisot nello storico sbarco sulla Luna

Originario di Cesio, realizzò alla Kern in Svizzera gli obiettivi delle telecamere Nasa «A ripensarci ho ancora la pelle d’oca»

SANTA GIUSTINA.

«A ripensarci ho ancora la pelle d’oca». Umberto Lisot oggi vive a Santa Giustina, pochi chilometri in linea d’aria dalla frazione di Can di Cesiomaggiore dove è nato ad inizio giugno 1943. Ma la storia, e non una storia qualunque, l’ha scritta ad Aarau. Collocazione geografica Svizzera, anno 1968. Dodici mesi dopo gli americani avrebbero raggiunto per la prima volta il suolo lunare. E allora Lisot, in occasione dei cinquant’anni si è fermato volentieri a fare due chiacchiere per raccontare e raccontarsi.

Perché virtualmente sulla luna ci è andato pure lui. Oggi, giorno dell’allunaggio nel 1969 è un giorno speciale soprattutto per lui. Assieme ad altri tre colleghi, infatti, venne scelto dalla ditta Kern per tornire gli obiettivi della Nasa, all’epoca in fase di ultimazione della missione Apollo 11. In pratica occorreva realizzare una videocamera a colori, con la quale sarebbero stati filmati gli aspetti tecnici dell’atterraggio. «Ne producemmo tre», racconta con ancora un po’ di comprensibile emozione. «Uno restò in azienda, due li tenne la Nasa. Che, a sua volta, ne mandò uno nello spazio con il modulo Eagle. Ed è rimasto lì sulla Luna, perché in questo modo c’era meno peso durante il ritorno degli astronauti. Qualche mese più tardi, ci venne inviato il filmato e lo guardammo in sala cinema. Non posso descrivere le sensazioni che provai rivedendo le immagini». Lisot, in seguito, si occupò di questi particolari obiettivi sino all’Apollo 15.

Ma come era finito un ragazzo di Santa Giustina in Svizzera? Storie di emigrazione, come tante all’epoca. «Meglio partire da lontano», premette Lisot. «A nove anni mi spostai da Can a Villa di Pria. Famiglia contadina la mia, e papà voleva che con mio fratello proseguissi su quella strada. Io però non ero convinto, non mi piaceva. Volevo specializzarmi in qualcosa di pratico, così iniziai a frequentare il corso serale di meccanica al Segato di Belluno».

In mezzo si intrecciano altre faccende e ricordi. Dal motorino acquistato nonostante la contrarietà del padre, al lavoro da apprendista alla Corona Giampaolo a Bettin di Salce «dove i primi tre mesi non prendevo stipendio e facevo tutti i lavori più umili, ma almeno potevo fare la doccia. A casa c’era solo il mastello…. Più avanti cominciai a guadagnare 3 mila lire, anche se ben due servivano per il viaggio quotidiano avanti e indietro».

Nel 1962 la vita cambia. «Mia zia mi invitò a trasferirmi ad Aarau e lì trovai impiego come operaio specializzato della prestigiosa ditta Kern. Parliamo di un complesso da 1.300 dipendenti e un lavoro incentrato sulla costruzione di strumenti ottici meccanici di precisione. Livelli, teodoliti, teodoliti astronomici, macchine topografiche, strumenti militari, cannocchiali, binocoli, microscopi, compassi e tanto altro ancora».

Duro l’impatto, perché innanzitutto il signor Lisot non sapeva il tedesco. «Per fortuna mi aiutava un collega sloveno, che aveva studiato all’università e conosceva varie lingue». Le cose cambiarono con l’abitudine e anche la richiesta di altissima precisione non rappresentava più un ostacolo. Passando il tempo, i superiori comprendevano le grandi capacità del loro operaio italiano, iniziando a commissionargli lavorazioni specialistiche di prototipi. Sino agli anni 70.

«Dopo le missioni spaziali, venni assunto da impiegato con la mansione di tecnico del controllo volante. Dovevo seguire tutte le fasi della lavorazione, fino al montaggio. E il sabato mattina, nel reparto apprendisti, avevo il permesso di costruirmi alcuni strumenti utilizzando i macchinari».

Il resto è storia relativamente recente. Con Ester Casagrande, sposata nel 1967 e rimasta a vivere con lui in Svizzera sino al 1973, cura un frutteto, l’orto e ha mantenuto l’hobby di apicoltore e tecnico apistico. In Italia Lisot era tornato nel 1975, riabbracciando la moglie e i figli Marco e Luca, nati quando marito e moglie vivevano ancora in territorio elvetico. Immediato in provincia l’impiego alla Zanussi di Mel, mansione caposquadra. «Piansi 15 giorni però, in Svizzera stavo benissimo. La famiglia comunque ebbe la priorità su tutto e dunque rientrai a Santa Giustina, dove vivo tutt’ora».

Ad ogni modo, foto e documenti abbondano nell’archivio storico di casa. E alla peggio, quando viene un po’ di nostalgia dei tempi che furono, basta alzare gli occhi di sera e guardare la luna. In fondo, lassù, è come se ci fosse stato di persona. —

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