Celestina, la sarta di Salerno che ha scelto Cencenighe. Un abito di autostima per la sua vallata
Dopo aver lavorato negli alberghi, ha scoperto la sua abilità. “La mia è una famiglia di maestri artigiani. Io avevo talento”
CENCENIGHE. Quando aveva dieci anni, con gli scampoli delle stoffe Celestina cuciva i vestitini per le bambole e le sue amichette li compravano senza tentennamenti a mille lire l’uno. Oggi offre gratis un pezzo unico su misura per la vallata che più di vent’anni fa l’ha accolta: il vestito dell’autostima.
Questa proposta di acquisire fiducia in se stesso arriva all’Agordino da una donna originaria di Scafati, un paese in provincia di Salerno. È qui che Celestina Bruno, 51 anni, ha lasciato il capo del filo con cui sta ricamando, altrove, la sua vita. È qui che ha imparato come si fa per farlo fruttare a Cencenighe, in un piccolo locale a fianco delle poste.
«Io qui sto benissimo», dice parlando del paese in cui vive, «molti pensavano che me ne sarei andata dopo che ci siamo lasciati con il mio ex marito che è di qua e invece in questo posto c’è la tranquillità che mi ha consentito di dare ai miei due figli la vera infanzia e la vera adolescenza, di insegnare loro ad andare a fare la spesa da soli nel supermercato dall’altra parte della strada. Qui, rispetto alla città, puoi ancora guidare ed è un piacere farlo, qui ognuno fa il suo dovere, ognuno pulisce la sua parte e la comunità tutta ne beneficia».
Aspetti di cui chi vive da sempre nella vallata spesso non è consapevole. Per questo Celestina insiste nel tentativo di far indossare a tutti quel vestito su misura. «Il difetto di questa zona», spiega, «è che si guarda continuamente al Trentino. A me questa cosa non piace. Sono stata in Trentino e anche in Friuli, ma la bellezza e la gente che ci sono qua, di là non ci sono. Di là forse ci sono i prati più tagliati e le casette colorate, ma ci sono anche prepotenza e arroganza. Non è di là il mondo giusto. L’Agordino deve trovare più autostima».
La storia di Celestina che rammenda, modifica, crea vestiti e arredamenti per appartamenti e hotel può servire in questo processo. Lei non opera in un grande capannone e non mette un’etichetta a qualcosa prodotto da altri.
«Quello che si vede qui dentro», indica con lo sguardo l’insieme del suo negozio-laboratorio di sartoria, «è tutto fatto da me». Mentre Celestina parla e spiega come nascono le sue creazioni, risuonano nella testa concetti filosofici. È come se gli oggetti che escono dalle sue mani fossero in qualche maniera la traduzione di idee esistenti in un altrove che è nella sua testa.
«Io non sviluppo cartamodelli», dice, «non ne ho bisogno. Guardo uno scampolo, un tessuto e quella cosa l’ho già fatta». Non è superbia. Piuttosto è l’autoriconoscimento di una competenza che – come i tiene a sottolineare – «possiedo per discendenza, non per accademia o per titolo di studio».
E allora occorre tornare alle radici, ricordando velocemente quelle piemontesi che, sette generazioni indietro, incrociano pure quelle di papa Francesco, concentrandosi di più su quelle campane. «Papà e mamma», racconta Celestina, «erano entrambi sarti maestri artigiani su misura per uomo l’uno e per donna l’altra. Anche mia zia paterna e mio zio materno sono sarti e lo sono anche dei fratelli di mia nonna emi grati in Brasile dove hanno pure vestito la nazionale di calcio».
«I miei genitori», continua Celestina, «avevano messo su una prima bottega: mia madre cuciva e mio padre andava a vendere i prodotti. Poi l’azienda è cresciuta fino ad arrivare ad avere un’ottantina di operai. A otto anni io cucivo gli “eschimesi”, a 10 anni facevo i bozzetti e mio padre mi diceva che facevo cose meravigliose».
Celestina ha inoltre la passione per l’arredamento delle case ed è per questo che a 14 anni sceglie di fare la scuola per geometri. «Mi piaceva giocare con i tessuti», dice, «cambiare colore agli ambienti e modificarne lo stile. Volevo prendere la firma e mettere su un’attività per produrre tappeti e arazzi. Poi ho deciso di iscrivermi all’università, economia e gestione delle aziende tessili a Fisciano, ma non ho completato perché alla prima opportunità me ne sono andata e mi sono improvvisata cameriera, abbandonando di fatto l’azienda di famiglia che risultava, a me e ai miei fratelli, troppo totalizzante: rischiavamo di non avere vita sociale».
Fra i curricula che manda qua e là, uno vien visto da Giuliano Sudarovich. «Nel 1998, per otto mesi», racconta Celestina, «mi portò in Sardegna in un villaggio turistico di una società milanese; l’inverno successivo invece approdai nelle Dolomiti, vedendo per la prima volta la neve, all’hotel Digonera, da Mercedes. Ho poi fatto stagioni estive a Lignano e invernali fra i monti, tra cui all’Orsa Maggiore di Falcade, di cui Giuliano era direttore. Qui ho conosciuto il mio ex marito. Mi sono fermata in vallata, continuando a fare la cameriera fino alla legge Fornero che ha dato la possibilità ai miei datori di lavoro del tempo di licenziarmi».
Celestina, però, non si abbatte: va dall’assicurazione e chiede lumi sulla possibilità di riscuotere quella sulla vita per poter prendere in gestione un garnì in una zona – sottolinea - «dove sei in vacanza tutto l’anno». L’ex marito, però, le mostra un’altra strada. «Mi disse», ricorda Celestina, «Perché non ti apri una sartoria: sei capace, hai già le clienti, fai un passo di umiltà e torna alle origini. Se devi durare un giorno, meglio che avvenga nel tuo ambiente». Aveva ragione. In effetti avevo già iniziato a lavorare da casa, rilasciando sempre la ricevuta, perché non ho mai preso un euro senza pagarci le tasse. Cosa vuoi? Quando facevo i vestiti o gli zainetti per i miei figli, le altre mamme li vedevano e si incuriosivano. Così a gennaio 2014 ho girato tutta la vallata in cerca di un locale finché non ho trovato questo. La proprietaria, Angelina Soppelsa, non mi ha chiesto garanzie e mi ha rassicurato che se anche avessi dovuto recedere prima dei quattro anni, sarebbe bastata una lettera con sei mesi di anticipo. Era però sicura che non sarebbe accaduto».
Complice anche la sfilata a cui la pro loco e l’amministrazione comunale la invitano nell’ottobre 2015, Celestina si fa conoscere e oggi ha una clientela consolidata.
«Io sono valorizzata dai miei clienti che amo alla follia», dice, «sono loro che trasformano l’attività della bottega artigiana, sono loro il valore e il perno di questa azienda, unica nel genere in tutta la vallata». Una trasformazione che continua anche perché Celestina non si sente arrivata. Grazie all’input dell’Appia si è iscritta al corso finanziato dalla Regione per diventare mastro artigiano e venire inserita nell’albo regionale e, su consiglio di un’amica di Milano, ha dato il via a un’operazione di re-branding del suo “My Dool’s”, puntando nel prossimo futuro a lanciarsi pure nell’e-commerce.
Nel frattempo i figli Francesco, 16 anni, e Camilla, 13, hanno imparato a cucire «perché», come ammonisce Celestina, «non si sa mai». Lo hanno fatto seguendo il metodo della madre. «Io non sono tanto convinta dei vari corsi taglia-cuci che mi pare siano un po’ fini a se stessi. Non è facile trasmettere le competenze che uno ha. Io insegno in maniera non scolastica: ti metto davanti alle forbici e alla macchina con i tessuti e ti dico di provare. Quando mio figlio voleva fare un regalo a una ragazzina di cui si era invaghito e ha pensato a un borsello per inserire i colori, si è tagliato la stoffa e l’ha cucita in autonomia. Ce l’ha fatta e la ragazzina è rimasta contenta».
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