Centinaia in silenzio per salutare Armin
SESTO PUSTERIA. Un silenzio impressionante. Nel piccolo cimitero di Sesto Pusteria sono centinaia le persone che si radunano col passare dei minuti. Vengono su dal paese, si distribuisco intorno al perimetro della chiesa silenziosi, senza fare il minimo rumore sul brecciolino del vecchio cimitero: cento, duecento persone, poi lo spazio finisce, ma non le persone che continuano ad arrivare. Il grosso resta fuori dall’area sacra: i gruppi alpini, i maestri di sci, il soccorso alpino, il soccorso della guardia di finanza. Le divise sono tantissime, rosse, blu, ma anche gente del paese, gente della sua terra, il viso incrinato dall’incapacità di comprendere perché Armin, perché ora, perché così presto.
Nella piccola cappella si veglia i feretro: una bara di abete bianco, semplicissima ma vera, come lui. Un ragazzo a detta di tutti, limpido, trasparente, semplice, ma dai valori tradizionali solidissimi; un figlio della sua terra e la sua terra è tutta qui a dare l’ultimo saluto a questo ragazzo come meglio può.
Armin Holzer era un ragazzo generoso, questo gli amici dicono di lui, che aveva dato a tanti, e i tanti qui presenti lo dimostrano, il dolore sincero di chi resta a piangerlo è composto, severo, non un colpo di tosse, non un volto distratto, una folla concentrata, sinceramente ferita.
Il feretro esce dalla camera ardente del piccolo cimitero, a portarla in spalla gli amici di sempre, il gruppo delle “Lepri di Misurina”, Niccolò Zarattini, Alessandro D’Emilia, con cui Armin ha condiviso tante avventure, come l’Highline Meeting Monte Piana, un evento ideato per coinvolgere appassionati di slackline di tutto il mondo, solo per il piacere di condividere con quante più persone possibili l’amore per le Dolomiti di cui questi ragazzi sono pieni.
Un amore che era alla base di un’amicizia, pura come solo a vent’anni.
«C’era tutto il mondo a salutare Armin», trova solo la forza di dire Alessandro D’Emilia.
Accanto a lui c’è Aron Durogati, campione del mondo di speedride, un modello per Armin che ultimamente si era avvicinato a questo sport nel solo modo che concepiva: in modo totale, appassionato. Una dedizione e una pratica che però non sono bastate, quando lo scorso 4 dicembre qualcosa è andato storto.
La specialità che Armin stava studiando era lo speedfly, una vela piccola da parapendio, ma molto più ridotta e veloce, sempre più vicino alle rocce per praticare quello che si chiama “proximity flying”, per godere appieno la bellezza delle montagne che amava, volando sui canaloni più impossibili e impraticabili, uno sport che vede ridotte al minimo le condizioni di sicurezza e ogni errore può costare molto caro, e purtroppo così è stato per il ragazzo di Sesto.
La cerimonia prosegue nella piccola chiesa barocca, qui entrano solo tre, quattrocento persone, le altre restano fuori, sotto un cielo di granito.
Dentro la chiesa il parroco invita in italiano gli amici di Armin a unirsi alla preghiera. Uno alla volta salgono per l’ultimo saluto: «Ciao Armin, grazie per tutto quello che ci hai insegnato». Qualcuno canta una canzone, qualcun altro suona il tipico strumento australiano, il “didgeridoo”, poi un video di Armin da piccolo che già si dedicava alle evoluzioni sugli sci, disciplina in cui era fortissimo. Poi ancora le immagini delle grandi passioni l’highline in alta quota e il parapendio con cui amava volteggiare sulle sue Dolomiti.
Volava alto col cuore Armin, e così voleva vivere. Un figlio della sua terra, una terra che non dimenticherà uno dei suoi figli migliori.
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