Centrale Vajont: i Comuni firmano l'accordo, inizia l'iter del progetto

L'impianto produrrà energia sfruttando il salto della cascata davanti alla diga
In alto la firma dell’accordo tra Comuni, Gsp e En&En. Qui sopra l’ipotesi di progetto
In alto la firma dell’accordo tra Comuni, Gsp e En&En. Qui sopra l’ipotesi di progetto
BELLUNO. E venne il giorno degli scudi abbassati. I Comuni di Longarone, Castellavazzo ed Erto e Casso ieri hanno firmato l'accordo per dare il via libera alla centralina di Ponte Campelli, opera che verrà realizzata da En&En e gestita da Bim Gsp. L'impianto sfrutterà l'energia prodotta da un'acqua che, fino a pochi anni fa, nessuno avrebbe avuto il coraggio di toccare: l'acqua del torrente Vajont, quella che passa sotto la frana del Toc e esce a cascata davanti alla diga del disastro più grave d'Italia. Ma i tempi cambiano, tanto da far dire a un sindaco che, oggi: «La questione economica supera quella morale». Lo studio di fattibilità prevede lo sfruttamento di un salto di quasi 170 metri, attraverso una condotta forzata che prenderà l'acqua a quota 605,57 e la restituirà a 436,10 metri slm. A valle sarà costruita una centrale idroelettrica, che dovrebbe produrre dai 12 ai 15 milioni di kw/h all'anno. Il costo dell'opera va dai 7 ai 9 milioni di euro, ma i dettagli progettuali e la spesa dipendono da due fattori: l'andamento del piano nel percorso autorizzativo, che coinvolge due Regioni (Friuli e Veneto) e la collaborazione di Enel, alla quale verrà chiesto l'uso di strutture costruite per il sistema del Grande Vajont. A costruire sarà En&En, titolare della concessione con Martini e Franchi: «Ma a noi non resterà nulla», assicura il presidente Angelo Caneve. Poi En&En farà una società con Gsp, che gestirà l'impianto. En&En punta a recuperare i costi e a prendersi l'utile residuo dopo la quota garantita ai Comuni, ma nelle ultime ore la società ha deciso che, quasi sicuramente, alla fine farà un'opa per cedere le sue quote, possibilmente a privati locali. Gsp avrà il 60% della nuova società e ai tre Comuni spetta quella quota di utili, divisa equamente. Nell'ipotesi più ottimistica, che stima una produzione di 15 milioni di Kw/h, a ogni municipio arriveranno 300 mila euro all'anno. Eppure i sindaci ieri non avevano tanta voglia di sorridere, soprattutto Padrin e Pezzin, perché dire sì a quest'impresa è stata una delle decisioni più sofferte che hanno dovuto prendere e si capisce che ne avrebbero fatto volentieri a meno. L'idea di sfruttare quell'acqua è stata lanciata e rilanciata più volte negli ultimi decenni, scatenando sempre l'indignazione generale. Poi qualcosa è cambiato. Il sindaco di Castellavazzo e presidente di Gsp Franco Roccon ha elaborato un piano e ha convinto i suoi vicini colleghi di Longarone e Erto e Casso e, nel giro di sei mesi la maggioranza della popolazione è stata convinta, tanto che due consigli comunali su tre hanno già detto sì all'unanimità e il 19 tocca al paese friulano. «I Comuni vivono tempi difficili», spiega il sindaco di Longarone Roberto Padrin, «la gente capisce che avere risorse straordinarie è importante e passa davanti alla questione morale. Ma sia chiaro che il Vajont resta quello che è». Per Roccon il progetto è stato accettato: «Perché parte dal basso, da un accordo paritetico tra i Comuni». Secondo Luciano Pezzin, primo cittadino di Erto e Casso: «Il progetto attuale è ben diverso da quello del passato e ha un impatto quasi nullo». Elio Tramontin amministratore delegato di En&En conferma: «Faremo un impianto semplicissimo, a basso impatto ambientale, sfruttando le gallerie esistenti e costruendo solo una piccola centrale».

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