Certosa, nuova vita agli alberi Sculture dopo il tornado
VENEZIA. La quiete dopo la tempesta è giunta finalmente sull’Isola della Certosa. Gli alberi sradicati dalla furia della tromba d’aria del 12 giugno torneranno in qualche modo a vivere grazie al progetto dello studio di architettura Laboratorio 2729 di Massimo Barbierato, sede a Dorsoduro di Venezia.
Martedì alle 18 inaugura la mostra «Come uno spazio tra gli alberi» dove la filosofia dello studio verrà rappresentata attraverso fotografie di alberi e strutture di opere realizzate, dal Maneggio nel Verde di Asolo alla Casa nella Collina di Asiago. Al centro dello spazio espositivo verrà trasportato un resto di tronco della Certosa, per spiegare in cosa consisterà la riqualificazione di alcune parti dell’Isola. Sarà presente Alberto Sonino, amministratore di Vento di Venezia e,ospite d’onore, il regista Ermanno Olmi, da sempre sensibile alla relazione uomo e natura che caratterizza gli interventi di Laboratorio 2729.
«Non vogliamo dimenticare la tragedia che ha colpito la città» dice l’architetto Barbierato, docente presso l’Istituto di Design di San Marino, ramo dell’Iuav di Venezia «e per questo non sposteremo gli alberi, ma adatteremo i nostri progetti alla forma in cui si trovano attualmente».
Le tipologie di intervento saranno tre: panchine, cestini per la spazzatura e giochi per i bambini. Il legno è un materiale vivo, testimoniato anche dagli anelli che ne segnano la crescita e lo sviluppo. Oggi gli alberi feriti della Certosa, in prevalenza frassini, sono ancora distesi nell’Isola, in attesa del processo di bonifica e di smaltimento. Barbierato, originario di Asiago, non ha sopportato l’idea che venissero abbandonati a un altro tragico destino: «Per me l’albero è un essere vivo, io vengo dalla montagna, fa parte delle mie origini. Il legno è riciclabile, ecosostenibile, cambia sempre colore e ha una sua storia, come noi. Per questo trattarlo troppo significa bloccarlo e fargli una violenza. Noi ci adatteremo alla forma degli alberi e, in memoria della tragedia, li lasceremo nella stessa posizione».
La presenza di una falegnameria nell’Isola, utilizzata per le imbarcazioni, renderà il progetto completamente a chilometro zero. Il lavoro di taglio verrà fatto direttamente sull’albero, e così gli assemblaggi previsti che non contemplano l’utilizzo di altro materiale che non sia quello che l’albero fornisce. «Per me si tratta anche di mettere in pratica un principio che la società, soprattutto quella dell’eccesso, dovrebbe avere, ovvero valorizzare quello che ci circonda».
La filosofia dello studio (composto anche da tre giovani collaboratori: il veneziano Paolo da Ponte, Riccardo Pellizzari di Dolo e Riccardo Rossi di Marostica), si traduce in un tentativo di riunire l’uomo alla natura, anche mediante l’edificio. La casa a strapiombo sulla collina è stata pensata affinché si confondesse con la foresta, ma anche la contemplasse. L’effetto mimetico è dato da una copertura di legno di larice non trattato che, con il tempo, assume un colore grigiastro, tipico degli altopiani. Lo stesso vale per il Maneggio, di proprietà del figlio di Olmi, Andrea, in cui l’architettura non solo si adatta alla natura, ma anche al rispetto degli animali che non hanno gli zoccoli. E così, dopo il disastro, la natura riconsegnerà all’Isola della Certosa la pace. Qui sorgerà il primo monumento all’uragano: il ricordo della paura verrà custodito nelle fibre del legno, ma l’intera forma tornerà a vivere, come un tempo.
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