«Che paura, la mia ragazza era a teatro»
PARIGI. «Parigi è stata colpita nel suo punto più debole e innocente. La vita dei locali notturni, della musica e dello sport; quei momenti di svago e d’aggregazione nei quali nessuno sembrava sentirsi in pericolo nemmeno dopo gli attentati di gennaio alla redazione di Charlie Hebdo e all’Hyper Cacher». Parole di Fabrizio Ruffini, collaboratore del Corriere delle Alpi, che da qualche anno vive in pianta stabile nella capitale francese. «Quella volta l’orrore aveva lasciato subito lo spazio a un’identificazione precisa degli obiettivi: la libertà di stampa, la satira, da un lato e la religione ebraica dall’altra. Ma oggi la Ville Lumière si sveglia nell’incertezza e nella consapevolezza che chiunque poteva essere in quel ristorante o in quella sala concerti».
«Il mio primo pensiero», prosegue Ruffini, «è stato per la mia ragazza (anche lei bellunese ndr) che era andata a teatro con degli amici dell’università. All’inizio non si è parlato subito del Bataclan, ma più genericamente di un teatro. Non sono stato tranquillo finché non l’ho sentita al cellulare».
Raccontaci come hai vissuto la notte della strage...
«Per tutti qui è stata una lunga notte. Nel weekend faccio un paio di notti in un hotel del centro per pagare l’affitto e arrotondare, quindi ho passato tutto il tempo a sentire i racconti degli ospiti che tornavano con la faccia bianca e gli occhi terrorizzati. Alcuni mi hanno raccontato che erano a cena nel ristorante giusto accanto a quello colpito dai terroristi, altri sono tornati dallo Stade de France piangendo con ancora la maglietta della Francia e la bandiera in mano».
Hai avuto paura per le sorti dei tuoi amici?
«Per sapere se tutti i miei amici stessero bene è stato molto utile Facebook, che per l’occasione ha anche attivato una speciale app che permetteva a chi si trovasse a Parigi di far sapere di essere al sicuro. Non è mancata comunque qualche apprensione: una nostra amica in visita da Berlino si trovava vicina alle zone colpite e, non avendo una sim francese, non ha potuto comunicare con noi se non dopo qualche ora di spavento. Peggio è andata alla sorella di una coinquilina della mia ragazza, che si è trovata a scappare in mezzo agli spari per le vie laterali del Boulevard de Charonne».
Per strada che aria si respirava?
«L’hotel dove lavoro si trova molto vicino all’Eliseo e per tutta la notte c’è stato un viavai frenetico di camionette della polizia che hanno bloccato tutte le strade. Anche prima di vedere le notizie alla tv e comprendere la gravità dei fatti si intuiva che era successo qualcosa di grosso, perché tutti i poliziotti erano armati fino ai denti e indossavano dei grossi giubbotti antiproiettile».
Come si è risvegliata Parigi?
«Quando ho finito il mio turno sono voluto andare a vedere con i miei occhi la zona degli attentati e l’impressione è stata enorme. Mi sono reso conto di conoscere perfettamente almeno due dei punti delle sparatorie e di esserci passato davanti migliaia di volte. Una cosa che mi è saltata subito all’occhio, oltre alla grande desolazione delle strade semideserte, è che in una città grande come Parigi, dove tutti di solito si ignorano quando si incrociano per strada, le persone alzavano spesso gli occhi e si studiavano attentamente, come se il prossimo terrorista fosse proprio lì, davanti ai loro occhi. Una paura insolita e che fa ben capire in che stato si sia svegliata questa Parigi ferita».
Riproduzione riservata © Corriere delle Alpi