«Chiediamo solo giustizia» dopo l’arresto del sospetto

LENTIAI. «Chiediamo giustizia». È il grido della famiglia di Emanuele Martini, il giorno dopo l’arresto di J.F., sospettato dell’omicidio dell’8 giugno, a Santiago de Cali. Il presunto assassino del 44enne originario di Mel è detenuto in un carcere della Colombia e, nelle prossime ore, sarà interrogato dal magistrato titolare dell’inchiesta.
Intanto, al di qua dell’oceano Atlantico ci sono dei familiari che aspettano conferme da parte delle autorità diplomatiche, anche attraverso il loro avvocato di fiducia Antonio Ariano. Ma non stanno ricevendo alcuna risposta dall’ambasciata italiana a Bogotà e dal consolato a Cali.
Un silenzio inquietante, a quasi venti giorni dall’omicidio, avvenuto nel quartiere di San Luis: «Siamo basiti per quello che sta succedendo», spiega il cognato di Martini, «vorremmo capire come stanno andando avanti le indagini e purtroppo nessuno ci sta dando delle risposte. Il canale diplomatico dovrebbe essere quello più efficace, in realtà nessuno ci sta dicendo niente, se non su pressioni del nostro ministero degli Esteri. Non bastano i messaggi del nostro legale, nemmeno se sono in posta certificata e davvero siamo un po’ delusi, oltre che preoccupati».
La notizia dell’assassinio del bellunese, che lavorava come tassista, era arrivata in Italia attraverso un messaggino telefonico della sua attuale compagna, Diana. La stessa che ha chiesto e ottenuto di poter celebrare i funerali in Colombia, facendosi mandare i soldi necessari: «A distanza di qualche ora, abbiamo scoperto che avremmo potuto far trasportare la salma in Italia, cosa che in un primo momento sembrava impossibile. Noi non avremmo potuto partire per il Sudamerica non solo per questioni economiche, ma anche per la nostra sicurezza: certo non abbiamo potuto salutare il fratello di mia moglie e questo è stato un ulteriore dolore».
Per il prossimo contatto bisognerà per forza aspettare domani, quando riapriranno gli uffici diplomatici: «Dovremmo riuscire a sapere anche il nome del magistrato che sta seguendo un’inchiesta cominciata dieci giorni dopo i fatti, come prevede la prassi. In tutto questo tempo, possono succedere diverse cose, ma tutto quello che chiediamo è che venga fatta giustizia, dopo l’arresto della stessa persona che due anni prima aveva colpito Emanuele a un occhio e che in seguito l’avrebbe minacciato di morte».
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