Chiuse le indagini su trenta agenti di polizia provinciale

La procura li accusa di peculato, usavano le auto di servizio per tornare a casa, come da regolamento

BELLUNO. C’è chi percorreva oltre cento chilometri tra andata e ritorno e chi si limitava ad usare l’auto per brevi spostamenti. Giorno dopo giorno, i dispositivi gps hanno tracciato i movimenti delle auto in dotazione alla polizia provinciale che secondo gli inquirenti ogni sera venivano usate dagli agenti per fare ritorno nelle loro abitazioni. Dati che hanno portato all’accusa di peculato per 30 appartenenti al corpo di polizia provinciale della Provincia di Belluno e, per uno di loro, alle accuse di truffa, falsità materiale e falsità ideologica.

La Procura di Belluno ha chiuso la fase delle indagini preliminari confermando il quadro accusatorio emerso quest’estate: tutto era partito da un esposto anonimo che, in prima battuta, ha interessato solo alcuni dipendenti di palazzo Piloni. L’accusa si è poi estesa a 30 persone tra agenti scelti, commissari, ispettori.

Per le indagini la Procura della Repubblica si è avvalsa della Digos. Fondamentali, per dare fondamento alle accuse, si sono rivelati i dati che i dispositivi gps hanno raccolto nel corso delle settimane e che sono stati installati sulle auto in dotazione alla polizia provinciale. Secondo l’accusa le auto venivano usate con regolarità per coprire il tragitto tra l’abitazione e il luogo di lavoro sia all’andata che al ritorno tanto che per la Procura della Repubblica si configura il reato di peculato per 30 dipendenti della Provincia di Belluno.

Quando, nel mezzo dell’estate, il caso era esploso la Provincia aveva fatto sentire la sua voce convocando una conferenza stampa. I vertici di palazzo Piloni avevano spiegato come questa prassi fosse autorizzata da un regolamento approvato dal consiglio provinciale nel 1992. Il regolamento teneva conto delle esigenze di servizio del corpo di polizia provinciale impegnato quotidianamente su vari fronti, dalla lotta al bracconaggio alle funzioni di polizia giudiziaria.

Una spiegazione che non ha convinto la Procura della Repubblica. «Nessun atto amministrativo può autorizzare a compiere un reato» ha commentato il procuratore capo Francesco Saverio Pavone, «al di là delle generiche affermazioni di esigenze organizzative che non risultano specificatamente indicate». «Se le esigenze organizzative possono in linea teorica considerarsi legittime» aggiunge Pavone, «io mi chiedo quali siano visto che la distanza dal luogo di lavoro in alcuni casi era di pochi chilometri». La Procura ha individuato in modo certosino le distanze coperte ogni giorno dalle auto. Alcuni agenti arrivavano a coprire oltre cento chilometri al giorno, per altri la distanza tra il luogo di lavoro e l’abitazione era di poco più di un chilometro. «Le argomentazioni di chi ha voluto fare una difesa anticipata sono di nessun rilievo» continua Pavone, «né vale il principio di buona fede, visto che stiamo parlando di agenti di Polizia provinciale. Guarda caso dall’inizio di quest’anno le auto riposano in un garage, senza modificare di una virgola quel regolamento clamorosamente definito come legittimo».

Il peculato, però, non è l’unico reato presente nel fascicolo depositato negli uffici di via Segato. Valerio Nart è accusato di truffa, falsità materiale commessa da pubblico ufficiale in atti pubblici e falsità ideologica. Secondo gli inquirenti i dati del gps, infatti, non coincidono con quanto dichiarato nei fogli di presenza compilati tramite sms. Gli orari di inizio e fine servizio indicati via sms presenterebbero differenze anche rilevanti rispetto a quanto rilevato dai rilevatori gps, implacabili controllori degli spostamenti delle auto della polizia provinciale.

Valentina Voi

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