«Ci diano l’anestesista neonatale»
PIEVE DI CADORE. «Se fosse per loro, in provincia di Belluno basterebbe un solo punto nascita. Ma ostetrici e ginecologi sanno che cosa significa partorire sulle terre alte? La sicurezza va sicuramente incrementata, ma a Pieve di Cadore, in maternità, non è morto mai nessuno per mancanza di assistenza».
Antonia Ciotti, ancora per due mesi appassionata sindaca di Pieve di Cadore, ha la memoria lunga. «Certo, ci sono mamme che sono state costrette a partorire in casa, con disagi più o meno gravi - aggiunge Ciotti -, e questo dimostra che il nostro punto nascite va ulteriormente migliorato, ma assolutamente non chiuso». Ciotti legge e rilegge il ricorso presentato dall’Associazione ostetrici ginecologi ospedalieri italiani e da Società italiana di Ginecologia e ostetricia contro la Regione Veneto che, in deroga all’accordo nazionale, mantiene aperte le maternità sotto i 500. Ed esclama: «In questo caso non posso che gridare: Evviva Zaia». A solo un mese fa, infatti, risale l’ultima decisione giuntale di non chiudere Pieve e altri siti con poche centinaia di nascite. Anzi, Ciotti ne ha approfittato per chiedere al governatore e al direttore generale dell’azienda sanitaria Rasi Caldogno la presenza, in reparto, di un anestesista con master in neonatologia, anziché quella continuata di un pediatra. «Serve molto di più, in termini di sicurezza, mentre - spiega Ciotti - il pediatra è sufficiente tre ore al giorno». Così, almeno, è stata la sollecitazione di esperti nazionali raccolta da Ciotti e dagli altri sindaci che recentemente hanno partecipato in Trentino a un convegno sui piccoli ospedali di montagna. «Sono certa che il presidente terrà conto di questa richiesta, perché ha mantenuto puntualmente la promessa di dotarci di ginecologi h24».
Ieri pomeriggio quando è stata raggiunta dalla “provocazione” - così la chiama - degli ostetrici italiani, Alessandra Buzzo, sindaco di Santo Stefano di Cadore, ha reagito con un moto di ilarità. Era tutta indaffarata a predisporre le schede del progetto per le Aree interne. La strategia finanziata dal Governo e dalla Regione considera la sicurezza alla salute una delle priorità delle terre alte, contro lo spopolamento. Tanto che nel caso del Comelico il nuovo distretto sarà la priorità assoluta del progetto. «Siamo i primi a rivendicare tutte le condizioni di sicurezza per il servizio sanitario, ma i ginecologi e gli ostetrici sanno o no che le giovani coppie - chiede Buzzo - decidono d’insediarsi il più vicino possibile a un ospedale e a un punto nascita? Se, nel caso di Belluno, si concentrasse tutto nella città capoluogo, il Comelico, dopo aver perso la maternità di San Candido, chiuderebbe per eutanasia».
Catastrofica Buzzo? Assolutamente no, afferma il suo collega Pierluigi Svaluto, sindaco di Perarolo. In questo piccolo Comune, le nascite si contano su metà mano, l’anno. «Siamo vicini a Pieve, ma non così distanti da Belluno, quindi le nostre mamme per partorire scelgono indifferentemente un ospedale o l’altro. Gli ultimi parti, però, sono tutti avvenuti a Pieve di Cadore». Il motivo? «Evidentemente se ne riconosce la sicurezza, ma è soprattutto l’accoglienza a fare la differenza», sottolinea il sindaco. Secondo medici e ostetriche, i punti di debolezza delle piccole maternità sono il pediatra solo 3 ore al giorno, il ginecologo h12 anziché h24, la mancanza di sala operatoria sempre pronta e disponibile h 24. Obietta Ciotti: «Le gravidanze sono seguite fin dai primi giorni, quindi le mamme sono al sicuro. Il 90% dei parti non presenta problemi. Il 10% che registra qualche difficoltà viene comunque trattato a Belluno con tutte le precauzioni del caso. Ma evidentemente ostetriche e medici questo lo ignorano; non vivono in montagna, i loro colleghi che operano in provincia glielo dicano, per favore». (fdm)
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