Ciao Franco, uomo discreto, orgoglioso e senza alcun rimpianto per il potere

Francesco Saverio Pavone fu a capo della Procura bellunese: il sostituto procuratore anziano Roberta Gallego ne delinea la figura 
zago agenzia fotofilm treviso incontro con giudice saverio pavone presso duca abruzzo
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IL RICORDO


Ciao Franco, un’uscita di scena troppo veloce, sicuramente battagliata.

Avevi una tempra vigorosa e caparbia, ma non è bastato.

Non mi hai lasciato il tempo di scherzare ancora con te, di ascoltarti ancora raccontare intenerito le prodezze dei tuoi nipoti, i progetti delle tue vacanze in Sardegna, l’affettuosa aneddotica su tua suocera, la serenità del tuo essere pensionato, senza rimpianti per un Potere che tu davvero hai saputo scagliare via dalle mani, come cantava De Andrè.

Ciao Franco, era appena l’altro giorno, poco più di due anni fa, finiva il tuo tempo di Procuratore, qui a Belluno si concludeva la tua carriera di magistrato, e mi dicevi “penso di avere fatto bene il mio lavoro, tu che dici?”, e sapevamo entrambi che non si era mai trattato neanche per un giorno solo di un lavoro per te, ma della tua identità, della tua etica. Ti sistemavi emozionato inesistenti pieghe del completo elegante e rigido che indossavi per il saluto in tribunale, lo stesso grigio ferro dei tuoi baffi allineati e coperti, la stessa istintuale rigidità del tuo approccio al mondo. “Certe volte so che sono troppo severo, troppo irruento, troppo capatosta, tu mi avverti se pensi che stia sbagliando? Leggi quello che ho scritto e dimmi come la vedi”. La consapevolezza umile dei propri limiti e la fiducia nelle persone che sentivi vicine. Sapevi dare confidenza e togliere il sonno, e temevi di pentirti per entrambe le conseguenze sugli altri. Poi naturalmente, ti tuffavi nelle indagini, a separare a bracciate torto e ragione, secondo il tuo metro tranciante di rigore morale, infaticabile investigatore, dalla memoria certosina e dal talento maniacale per i dettagli.

Ma eri orgoglioso della tua intensa attitudine a vivere così il tuo ruolo “Quella, il mare la bagna e il sole l’asciuga!” mi dicevi con disprezzo di una persona che disistimavi per la sua tiepida applicazione alla professione. Eppure non ti ho mai sentito far corrispondere al disprezzo la maleducazione, al dissenso la mancanza di rispetto, alla superiorità istituzionale il pregiudizio valoriale. Mi hai lasciato in eredità pochi fascicoli che non sei riuscito a chiudere, hai lavorato come un intero sciame di api fino all’ultimo giorno, facendo impazzire tutti i tuoi collaboratori che non riuscivano a tenere i tuoi ritmi, pur avendo poco più della metà dei tuoi anni.

Ciao Franco, ho sempre trovato la tua porta aperta, e ti ho sempre trovato dietro quella porta, immerso nelle carte a qualunque ora, con pochi dubbi a rallentarti la fatica, ma con una generosità straordinaria verso quelli che secondo te erano al tuo fianco. Mi raccontavi le indagini, i personaggi di un’epoca diversa e lontana, con la quale non ti eri ancora congedato emotivamente, mi parlavi di successi e di sconfitte morali, senza mai mostrare acredine per le seconde, quasi perplesso, rattristato, che colleghi non avessero compreso l’entità del tuo lavorare alacremente. Ascoltavi e sapevi sorridere, di te stesso (penso ad una gita in montagna con i sandali di legno, ad un cane dipinto di vernice ad acqua) e degli altri (colleghi altisonanti, ritratti da aneddoti molto buffi, che non divulgavi con malizia), ma non deridevi nessuno con cinismo perché non era un sentimento che ti apparteneva, come il rancore e la vendicatività ti erano estranei; raramente ti ho visto arrabbiato, mai perdere il controllo. Eri intenso e tenace, eppure non hai mai ceduto al vizio di criticare i colleghi che non accoglievano le tue richieste o assolvevano i tuoi imputati. L’estremo senso di dovere, l’imperativo categorico morale ti impediva di venire meno al tuo senso di appartenenza alla categoria e all’istituzione. Quando sei entrato in rotta di collisione con chiunque, non hai parlato seminando fiele e fango, hai scritto sempre, assumendoti responsabilità e oneri. Eri davvero intellettualmente onesto, quasi con candore. Lo ammettevi e lo riconducevi ad un’educazione ricevuta da sole donne del Sud, e ad una vita fortunata.

Ciao Franco, eri discreto, quando ti informavi delle vicende personali dei tuoi sostituti, familiari e di salute. Mi dicevi “non ti chiedo per delicatezza come stai, non perché non mi interessi..”. Quando ero ricoverata non chiamavi per una sorta di pudore, per non entrare nell’anima altrui senza correre il rischio di calpestarla. Poi mi dicevi “per qualunque cosa sono qui” e io sapevo che era davvero così. Eri legatissimo a tua moglie e alle tue figlie, ad ogni cane che hai amato; il periodo bellunese di iniziale distacco dalla tua famiglia ti aveva messo in crisi, avevi capito che “una vita spesa in ufficio” era stata possibile perché c’era un tempo pieno e splendido di relazioni affettive, che ti mancavano nella quotidianità. Allora fra una telefonata e l’altra, anche brevissime e solo per dirsi “volevo sentirti”, mi raccontavi tanti aneddoti dell’infanzia delle gemelle e di Sara, delle tue paure per la loro adolescenza, della giusta distanza di rispetto che esercitavi con il loro essere adulte; mi mostravi orgoglioso le foto di passerelle estive, mi raccontavi le conquiste professionali modenesi, e su tutto, la grande capacità della tua compagna di vita di essere sempre al tuo fianco, di consigliarti, supportarti, rasserenarti, in molti casi, fermarti. Sei l’uomo più autenticamente femminista che io abbia mai conosciuto.

Ciao Franco, rifuggevi la volgarità e le scorciatoie. Una volta mi hai detto che, da accanito tabagista, hai smesso di fumare di colpo, per il solo fatto che non volevi rinunciare a tenere in braccio tuo nipote per il tempo morto di una sigaretta. E la densità di nicotina nelle stanze dove interrogavi i tuoi indagati era diventata proverbiale fra gli avvocati con cui ti eri confrontato in quarant’anni di indagini. Grandi rinunce e grandi svolte che sapevi importi senza esitare, ma anche senza cupezza. So quanto amavi le cose belle, il piacere di un buon pranzo (le aragoste della Maddalena!), accarezzare con lo sguardo una bella donna, circondarti di quadri e di immagini felici, lisciare soddisfatto con le dita il monogramma sulle tue camicie sartoriali. Quel monogramma che sotto le tue dita curate, ti raccontava che, con tanti sacrifici, ce l’avevi fatta, avevi guadagnato il traguardo che ti eri prefissato.

Ciao Franco, ci siamo rivisti l’ultima volta in quello che era stato il tuo ufficio, l’ambiente che non ti apparteneva più, ma non eri affatto nostalgico “sto bene, faccio un sacco di cose. Sono ancora abbonato alle riviste giuridiche, continuo a studiare, sai?”. Sapevi andare oltre, vivere nel presente, goderti l’idea del futuro. Avevi il senso del percorso di un alpinista, anzi di un minatore, ma ti è mancato il fiato.

A me non mancherà il ricordo. —






 

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