«Ciao», il saluto di Veltroni ad un padre mai conosciuto

Presentato a Belluno il libro del giornalista ed ex sindaco di Roma: «Ho dato l’addio ai ruoli della politica ma non all’impegno civile». Un testimone da passare alle generazioni future
Di Davide Piol
GIAN PAOLO PERONA- PERONA- WALTER VELTRONI
GIAN PAOLO PERONA- PERONA- WALTER VELTRONI

BELLUNO. Sala gremita per Walter Veltroni salito a Belluno per presentare il suo ultimo libro «Ciao». L’incontro è stato organizzato dal Pd bellunese. Dopo i saluti della segretaria Erika Dal Farra e di Roger De Menech, Veltroni ha esordito ricordando la manifestazione del 2008 a Belluno in cui era stato accolto con entusiasmo.

L’incontro è stato per la gran parte incentrato sul suo libro. «Il libro nasce da un fatto», ha spiegato Veltroni, «mio padre è morto a 37 anni nel 1956 quando io ne avevo solo uno. Non ho memoria di lui. Non abbiamo una fotografia insieme. Non sono mai riuscito neanche a sognarlo perché non riesco a dargli corpo. Sinceramente mi è mancato, anche se è difficile che ti manchi qualcuno che non conosci. Però ti manca una figura».

Una figura importante e a tratti ingombrante: Vittorio Veltroni è stato radiocronista Eiar e dirigente della Rai. Ma sarà proprio questa notorietà del padre a permettergli di ricercare alcune informazioni che lo riguardano e a fissare dei punti necessari per unire passato e presente. «Ho scoperto di aver bisogno di lui quando a mia volta sono diventato padre» ha raccontato Veltroni, «perché sono diventato padre senza esser stato figlio. Non sapevo come si facesse. Non avevo esperienza. Ho sentito il bisogno di cercarlo e l’ho fatto. Ho scritto a tutti gli amici di mio padre chiedendogli di raccontarmi com’era».

Da qui la stesura del libro. In uno sfondo del tutto particolare, ossia il parco dei daini a Roma, l’autore immagina che vi sia un Ferragosto in cui la città è deserta e in cui il cielo si colora di rosso. A un certo punto comincia a piovere. Il protagonista corre verso casa ma, prima ancora di inserire la chiave nella serratura, sente una voce che dice “ciao”. Dietro di lui c’è un ragazzo vestito anni ’50 e con la brillantina sui capelli che gli sorride. La risposta arriva spontanea: “Ciao papà, entra”. Comincia così un dialogo strano in cui i ruoli di padre e di figlio sembrano invertirsi. I due parlano delle loro vite ma anche dell’Italia di cui sono stati dei testimoni privilegiati e del modo in cui è cambiata.

Un’Italia differente, quella del padre, di cui però Veltroni dichiara di non avere nostalgia: «Quei tempi erano tempi durissimi. Noi siamo la generazione che sta meglio nella storia dell’umanità però siamo arrabbiati, preoccupati, impauriti. Quella generazione lì aveva delle speranze. Noi abbiamo delle paure. Alcune reali come il terrorismo, altre indotte. Dobbiamo vincere la paura con la speranza, con quel sentimento razionale, quella convinzione che le cose possano cambiare». L’incontro di venerdì sera è stato anche un’occasione per rispondere a quanti hanno visto in questo libro un addio alla carriera politica.

«Ho dato l’addio, per mia decisione, ai ruoli della politica, alle responsabilità politiche, ma non all’impegno civile», ha ribattuto Veltroni. «Sono gli uomini e le donne in carne e ossa con la loro scelta di non essere spettatori delle vita che cambiano il corso delle cose. La politica è una missione comune». È quindi fondamentale passare il testimone alle generazioni future e farle sentire partecipi di un patrimonio che non può essere cancellato.

«Ogni generazione deve sentirsi impegnata in questo», ha concluso Veltroni. «Non c’è un muro impossibile da demolire. Tutti i muri possono cadere. Ma bisogna prenderli a spallate e non semplicemente guardarli. È la differenza tra vivere la vita da cittadini e viverla da spettatori. Quelli dell’Is, ma anche molti altri, vorrebbero che noi fossimo spettatori. Invece dobbiamo cercare di essere cittadini».

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