Coltrondo, ricetta Buzzo: «Li abbiamo presi per sfinimento»
SANTO STEFANO DI CADORE. “Metodo Coltrondo”. È il conio di mons. Diego Soravia, arcidiacono del Cadore. Alessandra Buzzo, sindaco di Santo Stefano, “la pasionaria” come la chiamano in valle, non dimenticherà mai quella mattina, illuminata da uno splendido sole, in cui monsignor Soravia, alla posa della prima pietra del Pronto soccorso dell’ospedale di Pieve di Cadore, intitolato a Giovanni Paolo II, raccomandò al presidente della Regione, Luca Zaia, «velocità per Coltrondo, perché», disse, «vorrei esserci all'inizio e alla conclusione dei lavori».
«L'arcidiacono in quella circostanza aveva simpaticamente denominato il mio impegno come “metodo Coltrondo”», dice sorridendo il sindaco Buzzo.
Ossia?
«Li prendiamo per sfinimento».
Ed è ciò che lei ha fatto?
«Sì, con tutti. Senza badare ai ruoli e alle appartenenze. Ma rispettando la dignità di ciascuno. Determinazione sempre, ma senza alzare la voce. Senza offendere, senza criticare. Solo guardando al bene della collettività».
Eppure la sua determinazione non ha lasciato scampo.
«Penso sia una questione caratteriale, così come il senso del dovere e di responsabilità. Dovere di dare il meglio di noi stessi in ogni ambito, solo così si può lavorare per un mondo migliore in tutti i sensi».
Un mondo migliore? Lei addirittura vorrebbe fare la volontaria tra i minori di villa San Francesco...
«Sì, una straordinaria scuola di umanità. Fare la volontaria fa parte della mia formazione, l'ho sempre fatto e non potrei non farlo».
Di nuovo anche con i profughi?
«Certo, anche con loro. Vengono trattati da scarti di questa società, dice il Papa».
Non ha nulla da rimproverarsi rispetto alla calorosa accoglienza dei primi richiedenti asilo a Santo Stefano di Cadore?
«Io ho cercato di trasmettere a tutti, incominciando dai miei figli, il senso della condivisione (dividere-con), della solidarietà, ma anche della responsabilità e dell'impegno. Poi, se ci sono stati degli errori... l'importante è provvedere».
Anche l'impegno per la galleria di Coltrondo va interpretato nel segno della condivisione?
«Sì. Garantire la mobilità è un’opera di solidarietà. La carità, diceva Paolo VI, è la più nobile forma di politica. Ed oggi posso dire che Coltrondo è la dimostrazione che, se si crede in qualcosa e lo si persegue con grande tenacia e correttezza per il bene comune, obiettivi che sembrano impossibili sono invece alla nostra portata».
Soltanto due anni d'impegno, mentre in altri casi sono necessari decenni per portare a casa contributi per le grandi opere.
«Beh, intanto aspettiamo la conclusione dei lavori. Siamo solo al finanziamento. Già da adesso, comunque, comincio a ringraziare i miei collaboratori, il personaledel Comune, il geologo Pomarè».
I politici no?
«Certo. Tutti i parlamentari bellunesi, compreso il senatore Dalla Zuanna, il presidente Zaia e i suoi collaboratori, il ministro Delrio e De Menech che lo ha tallonato. I colleghi sindaci e le nostre genti. Posso dire che Coltrondo, se sarà realizzato, sarà grazie a questa tenace corrispondenza».
E alle centinaia di magliette...
«Sì, le magliette “Io ci sono. Forza Comelico” distribuite in tutto il mondo».
Lei ringrazia il governatore Zaia e al tempo stesso il deputato De Menech e il ministro Del Rio. Il no e il sì, insieme. Ma lei voterà no, come coinsigliato dal Bard, il movimento di cui è a capo.
«Gliel'ho spiegato a Roger, con tanta amicizia. Sono convinta che questa riforma non riuscirà a salvare la provincia».
Lei si è candidata anche in Regione. Pensa di ritentare quell'avventura nel prossimo futuro?
«Adesso pensiamo a Coltrondo».
Ma, se tutto dovesse andare bene, il tunnel arriverà fra 5 anni.
«Speriamo anche prima. E, in ogni caso, la prossima primavera l'Anas dovrà realizzare il prolungamento del paramassi».
Qui siamo in ritardo, per la verità?
«Pensi che l'allora ministro Lupi, a Belluno nella primavera 2015, ce la promise per l'inizio dell'anno scolastico 2015/2016».(f.d.m.)
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