Con gli stemmi, un viaggio nel passato di Mel

Un lavoro certosino lungo due anni, realizzato da Miriam Curti e Luciano Riposi, sfociato in un libro di trecento pagine
Di Valentina Damin

MEL. Tuffarsi nel passato per riscoprire com’era Mel tre, quattro, cinque secoli fa.

E scoprire che forse la realtà descritta da Alessandro Manzoni nei Promessi Sposi tanto distante non era da quella del contado zumellese.

È un lavoro certosino quello che Miriam Curti e Luciano Riposi hanno portato avanti per più di due anni e che li ha portati a scoprire e catalogare tutti, o quasi, gli stemmi delle famiglie nobili che abitarono a Mel.

Un viaggio nello spazio, per scovare stemmi stampati, scolpiti, o dipinti in ville, abitazioni o chiese del territorio zumellese, e nel tempo, per scoprire come si viveva a Mel ai tempi della Serenissima, piuttosto che durante il periodo romantico.

“Stemmi e antiche famiglie di Mel” cataloga sì le effigi delle famiglie nobiliari venete vissute a Mel e anche quelle ecclesiastiche ma, nelle sue quasi trecento pagine, sono racchiusi episodi di vita, racconti di omicidi, di processi, di sposalizi che soddisfano la curiosità degli amanti della storia. Una storia legata al microcosmo zumellese, con notizie che “partono dalla fine del ‘200, e riguardano prevalentemente il periodo veneziano”, spiega Miriam Curti.

«Abbiamo recuperato sul territorio tutti gli stemmi esistenti e utilizzando anche l’archivio del comune di Mel e quello parrocchiale», spiegano i due curatori, «ma siamo sicuri che ce ne siano degli altri».

Nel libro vengono catalogate trentadue famiglie nobili con alcune effigi, più lo stemma della comunità di Mel, della Repubblica di Venezia, più dodici stemmi ecclesiastici e cinque rimasti ignoti.

«Di queste trentadue famiglie», continuano i curatori, «non tutte avevano uno stemma però sono famiglie importanti per la vita zumellese sia dal punto di vista economico, sociale ma anche dal punto di vista artistico. La famiglia Del Zotto, ad esempio, che fece restaurare il palazzo delle Contesse, oppure la famiglia Mazzocco che fece costruire la chiesa della Madonna di Loreto a Pianazzo. Il libro racconta di molte famiglie “immigrate” a Mel che, dopo la dedizione a Venezia nel 1404, era diventato una sorta di contado ‘a statuto speciale’, si direbbe oggi. Mel era un contado a sé, per cui la vita qui trascorreva in modo autonomo, rispetto alla vita bellunese».

In molti, quindi, salgono dalla pianura per stabilirsi qui, dove la vita è colorata di episodi leggendari che nel volume vengono raccontati.

«Le cose più interessanti vengono dai processi», spiega Miriam Curti, «che ci raccontano di assassini, ferimenti, percosse, agguati, rapimenti, stupri, preti corrotti, evasioni dalle carceri (che si trovavano dov’è l’attuale municipio)».

Il libro ricorda del rapimento della trevisana Del Castel che viene rapita da un membro della famiglia Cesana, portata fino a Busche e abbandonata lì. Oppure dello stupro di una donna di Praderadego avvenuto a Bardies; e ancora del lavoro più antico del mondo svolto a Farra da una gentil donzella.

Mel fu anche un centro fervente per quel che riguarda la vita artistica: le famiglie Maccarini, i Fulicis, i Cristini richiamano a Mel artisti importanti.

«Nel ‘500 abbiamo la presenza a Mel di Antonio Rosso, di Schiavone, probabilmente del Denti, di Cesare Veccelio e di suo fratello Fabrizio», spiega Miriam Curti. La copertina è un fotomontaggio creato con la carrera di Mel e l’arco di casa Pivetta Stefani e i personaggi del dipinto di San Giovanni Battista che predica alla folla, attribuito a Cesare Veccelio. Nel retro, invece, c’è l’atto di dedizione a Venezia che è conservata nell’archivio comunale e sopra c’è un sigillo in ceralacca della famiglia Tonetti che deriva dall’archivio parrocchiale: un omaggio ai due archivi, fonti principali delle notizie raccolte nel volume.

«Il libro - concludono gli autori, - è stato stampato con il contributo di alcune aziende e il ricavato sarà devoluto per il restauro del ritratto di Lucrezia Zorzi, che è probabile che sia stato dipinto, nel 1593, a Venezia e che viene attribuito a Domenico Tintoretto, il figlio di Jacopo».

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