Concorso giornalistico per studenti ad Agordo, i testi vincitori

Dalla terra al cielo attraverso un mare di guai: ecco i quattro testi scelti dalla giuria

BELLUNO. Buona la prima per la rassegna cinematografica “Kalat on tour”, che si è conclusa nella sala Don Tamis in Agordo. Cinema, cucina e scrittura i principali progetti che hanno visto coinvolti studenti di tutta Italia.

Il concorso giornalistico nazionale “Dalla terra al cielo attraverso un mare di guai” dedicato agli studenti delle scuole di ogni ordine e grado,  ha annoverato partecipazioni da tutta la penisola (con particolare presenza di Lombardia, Sicilia, Lazio, Puglia, Friuli, Veneto).

La giuria ha scelto i vincitori:

  • Scuola Primaria "Edmondo De Amicis" di Bisceglie  - Puglia, con l’articolo “Dalla terra al cielo attraverso un mare di…amicizia”- articolo sottoforma di intervista degli alunni della classe VF seguiti dalla maestra Carla Tritto e coadiuvati dal team dei docenti della classe: V. Antonino, A. Bucci, A. Di Gioia, G. Grillo.
  • Scuola secondaria di primo grado, Ugo Foscolo, di Sedico con l’articolo “Cara Madre” di Sophie Dall'O, della classe 2aC seguiti dalla professoressa Gabriella Bortolot e rappresentati dal Dirigente Scolastico Prof.ssa Lucia Savina.
  • Liceo Classico Paritario Pietro Mignosi di Caltanissetta, Sicilia, con l’articolo "Supplici ieri e oggi", della classe della professoressa Sabrina Fazzotta.
  • Menzione speciale a Domenico Insardà del Liceo Scientifico G.Galilei di Belluno con l’articolo “La speranza nella musica”

Gli articoli dei vincitori saranno prossimamente pubblicati sui siti partner della manifestazione.

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Premio scuole superiori - “Supplici ieri e oggi”

“Agire? Non agire e tentare la sorte?” (Eschilo, Supplici v. 380) Negli ultimi tempi vediamo con sempre maggiore frequenza in tv immagini di barconi carichi di persone che vanno via dal loro Paese d’origine e cercano rifugio, protezione, “supplicano” di avere la possibilità di riavere una vita, la loro vita. Di fronte a tutto questo nessuno di noi riesce ad essere indifferente. Siamo ragazzi, ma vedere giovani come noi cercare disperatamente di costruirsi un futuro con tutte le forze possibili provoca in noi un senso di ammirazione, ma anche di profonda impotenza di fronte ad un problema che sentiamo essere più grande di noi. Qui a Caltanissetta siamo spesso a contatto con persone che vengono da luoghi più o meno lontani, che hanno affrontato il mare nostrum pur di essere qui ed oggi sono ospiti nei centri di accoglienza presenti nel nostro territorio. Ne abbiamo conosciuto alcuni, con i quali abbiamo parlato e abbiamo giocato a calcio nelle giornate I care organizzate dalla nostra scuola, tuttavia ci sentiamo di non avere fatto abbastanza.

Abbiamo allora fatto tesoro delle parole della nostra prof. ssa di Greco, che spesso ci dice che per cercare di rispondere alle grandi domande che oggi ci assillano possiamo interrogare i classici, che ci aiutano nella ricerca di risposte. Non è forse questo lo scopo del Liceo Classico? Studiando Eschilo, uno dei più antichi tragediografi greci del quale ci sono giunte sette tragedie complete, abbiamo constatato l’attualità delle tematiche da lui sviluppate e la nostra attenzione è stata catturata da Le Supplici ( Ikétides). Cosa significa essere supplice ai tempi di Eschilo e cosa significa essere supplice oggi?

Lungi dal riuscire a dare una risposta definitiva, vogliamo soltanto “leggere” l’oggi indossando degli “occhiali” forniti proprio dalla lingua e cultura greca. Chi è supplice è costretto a chiedere ciò di cui ha bisogno, è posto alla mercé di un altro, e ciò ne annulla la libertà e la dignità. Il problema allora è proprio quello di risolvere a monte le cause che portano l’uomo ad essere supplice. Le figlie di Danao fuggono dalla costrizione di un matrimonio non voluto, dalla prevaricazione da parte dei figli di Egitto e chiedono al re di Argo, Pelasgo, di essere accolte. Due sono allora i drammi evidenti: la sorte incerta delle Danaidi in terra straniera e il dilemma di Pelasgo, costretto a scegliere tra due possibilità comunque rovinose. Da qui il titolo di questo articolo: “Agire? Non agire e tentare la sorte?”.

Nonostante Pelasgo sia il re, l’accoglienza delle Danaidi dipende dal popolo, che decide proprio di ospitarle, accoglierle e difenderle. Le supplici sono allora le richiedenti asilo dell’epoca, per cui è un dramma vivo anche oggi, che ci fa riflettere sulle responsabilità della politica. Avere poi confrontato il testo originale greco con la rappresentazione in siciliano e greco moderno di questa tragedia per opera di Moni Ovadia ci ha permesso di confermare ulteriormente l’attualità di questa tematica. Il regista, che interpretava anche il personaggio Pelasgo, ha voluto sottolineare l’accoglienza totale delle Danaidi, al punto che viene loro concessa la possibilità di andare a vivere nel luogo che preferiscono e più si adatta alle loro esigenze.

Una situazione molto diversa dai centri di accoglienza di oggi, sovraffollati e che di “accoglienza” hanno forse ben poco. Se le supplici di Eschilo sono garantite da Zeus ikésios, chi oggi è supplice da chi è garantito? Forse che essere accolti non è un diritto sancito dalla Costituzione Italiana (art. 10), dalla Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo (art. 14) e ancor prima dalla Bibbia (Lv. 19, 33-34)?

Liceo classico paritario Pietro Mignosi di Caltanissetta Insegnante referente Sabrina Fazzotta

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Premio scuola primaria - "Dalla terra al cielo attraverso un mare di amicizia"

Intervista a Gianna (Ucraina), Alexandra (Romania), Ana Maria (Romania):

le nostre nuove compagne di classe.

Classe VF: Come vi trovate in questa scuola? Cosa vi ha spinto a lasciare il vostro Paese?

Ana Maria: Mi trovo bene, qui mi piace. Ero felice di venire in Italia perche mi sarei ricongiunta con mio padre che era stato costretto a lasciare la Romania perchè non si riusciva a guadagnare bene, pur lavorando tanto.

Gianna: Mamma e papa per dieci anni mi avevano lasciata con i nonni, in Ucraina, per lavorare in Italia. Nella mia Terra anche se lavori tantissimo pagano poco. Ero triste perche lasciavo i miei compagni, i miei nonni e la mia scuola; avevo paura di essere esclusa dai nuovi compagni di classe. Ora sono felice di stare in Italia e in questa scuola.

Classe VF: Come siete arrivate in Italia? Che ricordi avete del vostro Paese?

Ana: Sono arrivata con il traghetto. Quando sono arrivata a Bisceglie non vedevo l'ora di rivedere il mio papà che non vedevo da due anni:

per l'emozione per una settimana mi tremavano le gambe. Del mio Paese ricordo la mia maestra e le mie amiche che piangevano quando ho detto loro che sarei andata via e che sarebbero dovute venire a riprendermi se mi fossi trovata male.

Alexandra: Sono arrivata in aereo e per tutto il viaggio mi tremavano le gambe. Arrivata a Bisceglie, non tremavo più ed ero entusiasta di riabbracciare mia madre. Del mio Paese ricordo tutti i compagni che nell'ultimo giorno sono venuti ad abbracciarmi.

Gianna: Sono arrivata in auto, dopo un lungo viaggio; ero agitata perche avevo paura di tutto ciò che non conoscevo. Un bel ricordo della mia terra, è la mia casa: una villetta in campagna dove la natura predominava; a Bisceglie, ci sono più strade e palazzi. Il ricordo piu emozionante è stato quando mamma, il giorno del mio compleanno, è venuta a trovarmi, dall’Italia, ed è stata con me una settimana. Quel giorno ho pianto tanto di gioia. Ora sono con lei e papà tutti i giorni.

Classe VF: Come avete reagito quando dovevate partire?

Ana: Ho cominciato a piangere, sembravo una cascata! Sento nostalgia di mia nonna, degli zii e dei miei animaletti che non ho potuto portare con me. Per fortuna la mia amica del cuore è venuta in Italia dopo di me.

Alexandra: Anch’io piangevo, non solo per la tristezza, ma anche di

gioia: ero triste perche dovevo lasciare la scuola e gli amici e la mia amica del cuore che è rimasta in Romania, ma contemporaneamente felice perchè qui avrei riabbracciato la mia mamma.

Gianna: Ho pianto tanto quando ho lasciato la mia Terra; sento la mancanza dei miei nonni che mi preparavano il Varennechi, un piatto che in Italia non esiste: e un tipo di pasta ripiena con formaggio fresco o marmellata di ciliegie! L’esperienza piu difficile è stata imparare la lingua, ma ho fatto facilmente amicizia. A scuola sono stata aiutata, inizialmente da una mediatrice culturale, di nome Anna, che mi ha aiutato a comprendere la lingua e le usanze italiane, dai miei compagni che si facevano capire con i gesti e dalle mie maestre che spesso usavano il traduttore di Google. Quante risate, quando scoprivo che il traduttore fraintendeva alcune parole e le traduceva in un modo che non cfentrava nulla con il contesto!

Classe VF: Quali raccomandazioni dareste a chi decide di venire in Italia?

Ana, Alexandra e Gianna: Prima di tutto suggeriremmo di imparare subito la lingua e, comunque, di non aver paura di sbagliare perchè gli Italiani sanno che per noi è difficile parlare la loro lingua, all'inizio. Vorremmo tranquillizzarli dicendo che nessuno li prenderà in giro, anzi tutti li aiuterebbero. Diremmo di venire, perche l’Italia è bellissima! Anche gli Italiani fanno sacrifici, ma si vive bene. Dopo tante agitazioni ci sembra di aver toccato il cielo con un dito!

Classe 5^F della Scuola Primaria De Amicis di Bisceglie (insegnante referente Carla Tritto, docenti team: V. Antonino, A. Bucci, A. Di Gioia, G. Grillo)

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Premio scuola secondaria - Lampedusa, Italia

Cara madre, ce l’ho fatta! Ho vinto la mia battaglia. Ieri sono sbarcato in un piccolo isolotto italiano, chiamato Lampedusa. Qui è tutto caotico e degradato ma, all’orizzonte ci sono luoghi spettacolari. Un gregge di persone vaga per le coste, fino al campo profughi, dove uomini europei ci guidano come cani pastore. Alcuni ci scrutano come fossimo degli intrusi. Siamo le pecore nere, (ma, forse, si sono abituati alla nostra vista). Altri ci guardano con pietà; nei loro occhi si fa largo la nostra sofferenza, che sanno riconoscere, come qualcosa di grande e doloroso, forse simile a qualcosa che hanno già provato: l’inferno. Io, l’inferno, l’ho visto in faccia. Pensavo che non ci fosse niente più brutto e doloroso della guerra, delle persecuzioni. Poi, mamma, mi hai portato oltre il confine, in Iran. Mi hai baciato e mi hai detto di essere forte. Mi hai strappato due promesse: la prima, di lottare fino all’ultimo, di non mollare; la seconda, di raccontare tutto quello che mi è capitato, a te, ai giornalisti, ovunque nel mondo. Dovevo essere il messaggero. Mi hai dato l’ultimo bacio sulla fronte, mi hai caricato di speranza e poi, forse troppo presto, forse con troppe cose ancora da dirci, sei andata via, hai attraversato il confine, sotto il tuo burqa azzurro, come uno spirito. Non ti sei più voltata. Quello era il nostro addio. Non potevo rimanere lì impalato. Dovevo mantenere le mie promesse. Dovevo riuscire a non pensare. I pensieri ti lacerano dentro.

E tu sai che sono un tipo che pensa troppo. Iniziai a girovagare fino ad arrivare ad una piccola cittadina, ma abbastanza grande da ospitare i trafficanti di uomini. Ne trovai uno. Gli dissi che volevo arrivare in Libia. Mi scrutò per un po’. Per lui ero l’ennesimo disperato che cercava la vita attraverso la morte. Sibilò: «È un viaggio lungo.

Faticoso. In Libia sai com’è, la situazione. Ma ti voglio aiutare.

Starai sul camion di un mio conoscente. Arrivato lì, ti dovrai arrangiare. Il prezzo è di 500 dollari».

Non potevo accettare. Non mi sarebbero bastati i soldi per il viaggio in mare. «Ce la farò», pensai. Le mie promesse le manterrò da solo. Inizia qui la parte peggiore del mio viaggio, siccome non eri al mio fianco. Mi rifugiai sotto un camion, riuscii ad attraversare tutto l’Iran. Ad un tratto si accorse di me e scappai. Il mio viaggio continuò cosi. Salivo su un camion, mi trovavano, mi cacciavano. Percorsi chilometri a piedi.

Trovai alcune persone che mi diedero un passaggio, per pochi dollari, anche gratis. Pure loro avevano la sofferenza negli occhi. Attraversai l’Iraq, l’Arabia Saudita, l’Egitto. Il tempo passava ed arrivai in Libia. Da lì dovevo raggiungere le coste ed iniziare il viaggio in mare.

La Libia odora di morte, ci sono cittadine martoriate dalle guerriglie interne, si respira una continua tensione. Il modo più sicuro per attraversare quel paese era essere invisibili. Non potevo infilarmi nel doppio fondo di un’auto. Se mi avessero scoperto, sarei morto. Avevo già rischiato attraversando i vari paesi. Mentre scappavo sentivo i fischi dei proiettili che mi passavano accanto, che correvano con me. Passando per vie secondarie, per i mercati, cercando di non farmi notare, raggiunsi la costa. Mi venne un tuffo al cuore. La spiaggia era affollatissima. C’erano uomini, donne e bambini, quanti di quei bambini, spesso soli. Io ho diciassette anni e avevo lo stesso paura. Come avevano resistito soli, senza un abbraccio materno? Non tutti sarebbero saliti sulla nave. Vinceva chi offriva di più. Gli ho dato tutto quello che avevo. La sera ci imbarcammo. È terribile, non riesci a muoverti, ti sembra ogni secondo di soffocare. Nessuno riesce a dormire, nessuno si rilassa. Il viaggio era breve, ma comunque pericoloso. Raggiungere la costa fu un sollievo. Ce l’avevamo fatta. L’ ultimo tratto di mare lo avevamo percorso in balia delle onde. Lo scafista era scappato. Ora mi trovo in una piccola stanza, con altri miei compagni di viaggio. Non voglio rimanere qui, me ne andrò. Devo mantenere mia seconda promessa.

Sarò il messaggero.

Poco tempo fa una ragazza siciliana mi sussurrò, quasi fu un pensiero tra sè: «Hai gli occhi di chi ne ha passate tante, ma il sorriso di chi le ha superate tutte». Ha ragione, le ho superate tutte. È incredibile come i più piccoli colgano questi particolari. Ci leggono dentro. Spero di riabbracciarti presto, di sentire il tuo profumo, di ricevere tutto il tuo amore. Ora ti lascio con queste ultime quattro parole, forse le più semplici, ma le più vere: ti voglio tanto bene.

Alì Sophie Dall’O Scuola Ugo Foscolo di Sedico 2 C

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Menzione speciale - “La speranza nella musica”

Nell’isola di Lampedusa, l’organista della chiesa di San Girolamo, appassionato da sempre di musica, decide di prendere con sé cinque ragazzi per insegnare loro quell’arte da lui tanto amata. Il suo obiettivo era quello di permettere loro di portare a compimento quel sogno che lui non era mai riuscito a realizzare. Il gruppo, dopo circa un anno di prove, riesce a raggiungere un buon livello e organizza un concerto in un locale dell’isola.

Quella serata fu un grande successo! Tutto era meraviglioso ma non era destinato a durare poiché due membri avrebbero lasciato la band: il batterista si sarebbe dovuto trasferire a Lucca con la sua famiglia a causa del lavoro del padre; il vocalist, invece, non aveva trovato nella musica la sua dimensione. Non sarebbe stato per nulla facile trovare dei sostituti, ed il sogno dei ragazzi sembrava dovesse svanire.

Nel frattempo sull’isola la vita proseguiva come sempre; i barconi dei migranti provenienti dalle zone di guerra continuavano ad arrivare e, come purtroppo ormai tristemente noto, con meno della metà degli individui che si contavano alla partenza, a causa dei vari incidenti che avvenivano in mare. In quei giorni su una di queste “carrette”

arrivarono due fratelli appassionati di musica, un maschio di sedici anni ed una ragazzina di quindici, che vennero condotti al campo profughi in attesa di decidere del loro destino, come di quello degli altri compagni di viaggio. Capendo che quella sarebbe stata la loro nuova casa per molto tempo, il ragazzo cominciò a girare tra le tende recuperando bidoni di plastica, contenitori di latta e scatole di cartone, ed improvvisata una batteria passava buona parte del suo tempo a suonare: sembrava avesse la musica nel sangue, a giudicare dall’abilità e dal ritmo. La ragazza lo seguiva cantando, ed aveva proprio una bella voce, e così riuscirono ad alleviare la loro permanenza in quel luogo. Intanto la band era ancora in cerca di quello che sembrava essere il tesoro di Attila. Questo almeno finché il tastierista, che ogni tanto faceva volontariato nel campo profughi, si accorse di loro e ne parlò all’organista. L’uomo sentendo la performance dei due fratelli capì che, se musicalmente seguiti e curati, potevano fare al caso loro e decise di prenderli nella band. Alcuni dei componenti erano alquanto riluttanti circa la possibilità di fare entrare i due stranieri nel loro gruppo, ma dopo averli ascoltati misero da parte ogni pregiudizio e li accolsero a braccia aperte. Nei mesi successivi un duro lavoro attendeva il maestro, che doveva adattare le naturali abilità del ragazzo per fargli apprendere la tecnica da usare su di una vera batteria. La ragazza invece entrò subito nel coro della chiesa e, grazie anche agli insegnamenti della direttrice, perfezionò ben presto la sua voce. La band, nella nuova formazione, ricominciò con le prove e dopo alcuni mesi il livello era tale da poter pensare ad una nuova esibizione. Quale migliore occasione della festa patronale dell’isola, dedicata a San Bartolomeo? L’intrattenimento musicale della serata fu affidato proprio ai ragazzi, e fu così che in una calda notte di fine agosto, la band tornò a suonare sotto il nome di “Cosmopolitan”, in omaggio ai due fratelli che avevano trovato il loro futuro nella musica. E’ questa la storia di due ragazzi emigrati che riuscirono a trovare la salvezza e a coronare il loro sogno, dopo le tante peripezie affrontate durante il viaggio.

Domenico Insardà - Liceo Scientifico G. Galilei Belluno

 

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