Condannato per il ricatto a luci rosse

Un anno e due mesi in rito abbreviato a un interprete rumeno per tentata estorsione a un imprenditore bellunese
Di Marco Filippi
Un'aula di tribunale in un'immagine d'archivio.
Un'aula di tribunale in un'immagine d'archivio.

BELLUNO. Lui è un giovane rumeno, residente a Treviso, che veniva spacciato dall’altro come un suo interprete nei rapporti commerciali con i paesi dell’Est Europa. L’altro è un noto imprenditore bellunese, sposato e con figli, molto devoto alla Chiesa. Ad accomunare i due c’è una relazione sentimentale, che sarebbe rimasta clandestina, se la rottura del rapporto non avesse costretto il secondo a denunciare il primo per estorsione, tentata estorsione e stalking. Un incrocio di denunce e accuse che ha portato i due protagonisti della vicenda davanti ai giudici del tribunale di Belluno e Verona. Tre sono finora i procedimenti penali istruiti: due a carico del giovane “interprete” rumeno (uno per estorsione e tentata estorsione ed un altro per stalking) e l’altro a carico dell’imprenditore bellunese (per calunnia). Uno dei tre procedimenti è arrivato a sentenza. Il rumeno è stato, infatti, condannato ad un anno e due mesi di reclusione per tentata estorsione mentre è stato assolto dall’accusa di estorsione.

Per comprendere l’intricata vicenda basta fare un passo indietro, all’ottobre del 2010, quando il rapporto sentimentale tra i due è al capolinea. Il rumeno è convinto che l’imprenditore abbia un altro. E la gelosia lo spinge a tempestare l’ex di sms. Un giorno, poi, si reca negli uffici della ditta e, nel corso di una scenata di gelosia, strappa all’imprenditore il cellulare di mano. Vuole scoprire dal telefonino dell’oramai ex amante se qualcun altro si sia messo di mezzo nella loro storia. E gli dice: “Se lo vuoi indietro mi devi dare 100 euro”. Aggiungendo anche: “Se non mi dai gli arretrati che mi devi, rendo pubblica la nostra relazione”. La scenata di gelosia non passa inosservata a qualche testimone, tanto che l’imprenditore, intuendo che la situazione gli sta sfuggendo di mano e la storia clandestina è destinata a venire a galla, si sente costretto ad andare a denunciare il ricatto del giovane rumeno. Lo fa, però, in una caserma dei carabinieri della provincia di Verona, convinto che gli eventuali procedimenti penali si tengano lontano da Belluno. In reatà, essendo il presunto ricatto avvenuto nella sua ditta, l’indagine è di competenza della procura di Belluno.

Il processo per estorsione e tentata estorsione s’è tenuto in rito abbreviato. Un processo a porte rigorosamente chiuse, al termine del quale il giudice Aldo Giancotti ha deciso di condannare il giovane rumeno ad un anno e due mesi per la tentata estorsione del telefonino. Dopo il “ricatto” il rumeno aveva riportato il telefonino all’imprenditore, lasciandolo sul muretto, accanto al cancello della sua abitazione. L’interprete (difeso dall’avvocato Tino Maccarrone del foro di Treviso) è stato invece assolto dall’accusa di estorsione (il ricatto di rendere pubblica la loro relazione e di bruciargli la casa se non gli avesse dato in cambio dei soldi).

In ballo rimangono altri due procedimenti. Quello di stalking, che vede sempre il rumeno nello scomodo ruolo di imputato, inizierà a marzo, davanti al giudice monocratico di Belluno. La calunnia, accusa di cui deve rispondere l’imprenditore bellunese, sarà giudicata in tribunale a Verona, in quanto la denuncia senza fondamento di cui si hanno pochi particolare, è stata sporta in una caserma dell’Arma scaligera.

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