Contro i cesarei rispolverate le vecchie tecniche
BELLUNO. La “lotta” contro i parti cesarei passa anche dal ritorno alle vecchie tecniche. Una di queste, chiamata “rivolgimento”, è stata messa in atto con successo un paio di settimane fa al San Martino, dal primario dell’unità operativa di ostetricia e ginecologia dell’ospedale di Belluno e Pieve di Cadore, Antonino Lo Re, e dal suo staff.
«Ad oggi, al San Martino siamo sotto la soglia del 30% di parti cesarei, precisamente al 27%, ma contiamo di scendere entro la fine dell’anno al 25%. Il problema resta invece Pieve di Cadore, dove la percentuale supera il 50% e farla scendere è difficile», dice il primario. «Quest’anno riusciremo a chiudere con 150 parti a Pieve, un numero basso, che rende difficoltoso il mantenimento degli standard di qualità, malgrado abbiamo messo in atto lo scambio del personale tra Belluno e Pieve. Purtroppo, molte pazienti vanno direttamente a Belluno per farsi seguire, senza neanche passare per Pieve».
Ma l’intento resta comunque quello di abbattere i cesarei. «Una decina di giorni fa, siamo intervenuti su una paziente giunta a 3-4 settimane dal parto; il feto era in posizione podalica, cioè con i piedi rivolti verso il basso, invece della testa, come dovrebbe essere per un parto naturale. Solitamente, in questa posizione la soluzione è il cesareo, «ma grazie a una tecnica di manipolazione sul feto dall’esterno, siamo riusciti a posizionarlo correttamente», spiega Lo Re.
«Si tratta di un intervento di routine per gli ostetrici fino a cinquant’anni fa, una tecnica caduta in disuso col passare del tempo. Questa è una pratica che si applica soltanto su pazienti con determinati requisiti clinici per evitare sofferenze e rischi al feto. Si tratta di agire e con gli avambracci e le mani sulla pancia della paziente per spingere il feto a girarsi, accompagnandolo nella posizione adeguata. L’operazione viene fatta in ambiente protetto, vale a dire in sala travaglio, con la sala parto pronta in caso di bisogno, e monitorata continuamente con l’ecografo per scongiurare complicanze, come l’avvolgimento del cordone ombelicale attorno al collo del nascituro o problemi alla placenta. Una manovra eseguita da due medici che, tre volte su quattro va a buon fine, visto che non è sempre detto che il feto segua le indicazioni esterne o che mantenga la posizione corretta fino al momento del parto. La paziente, nel nostro caso, è stata fortunata e quindi dopo una decina di giorni ha partorito in maniera naturale. L’intenzione è quella di continuare con questa pratica quando possibile; in tal modo, contiamo di evitare una dozzina di parti cesarei all’anno», conclude Lo Re.
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