Cortina: «Senza il Putti, i malati sono a rischio»
CORTINA. «Dopo oltre cinque mesi dalla chiusura del Putti, i malati di osteomielite non sanno ancora dove andare e rischiano seriamente di perdere gli arti».
Il grido d’allarme è del professor Francesco Centofanti, primario del Codivilla-Putti sino al 29 aprile scorso.
«I pazienti rischiano amputazioni agli arti», denuncia il medico, «e, come avevo detto fin dall’inizio, il Putti oggi è ancora chiuso. Sono tutte falsità quelle che asseriscono che deve essere ristrutturato. Avessero voluto, si sarebbe potuto creare una nuova sala operatoria prefabbricata in 48 ore. Il fatto è che non lo vogliono riaprire. Non vogliono curare le patologie infettive delle ossa semplicemnente perché costa tanto. Ma i pazienti cosa devono fare?».
Centofanti è avvilito. Il suo cellulare continua a suonare. Lo chiamano i malati, altri ortopedici a cui i pazienti si rivolgono che non sanno come curare una patologia così complessa.
«Dopo l’ultima intervista al Corriere delle Alpi», rivela Centofanti, «mi hanno detto di tacere o mi avrebbero denunciato per procurato allarme; solo perché ho detto che i malati rischiano di vedersi amputati gli arti. È la triste verità. Io ho a cuore solo il bene dei pazienti e non ho nessuna paura a parlare. Nel 2016 al Putti abbiamo effettuato 600 protesi e più di mille interventi. Dai dati del ministero della Sanità si evince che nello stesso anno in Sicilia sono state effettuate 450 amputazioni mentre in Veneto, dove era attivo il Putti, non si è arrivati a 50. Ogni anno ci sono 6 mila casi di protesi infette e 25 mila casi di osteomielite post chirurgica. La gente va a farsi fare un intervento e poi si ammala. Deve avere il diritto di essere curata. La chiusura del Putti è un ospedalicidio: l’omicidio di un ospedale. Io non capisco ancora perché il governatore Zaia abbia chiuso questa eccellenza. Questa è una omissione di servizio di pubblica necessità».
La Regione, dopo la chiusura della sperimentazione pubblica privata, ha affidato la gestione del Codivilla alla Oras di Motta di Livenza e all’Uls Dolomiti. Il Codivilla è aperto, ma il Putti è chiuso.
«Dicono che il Putti deve essere ristrutturato», continua Centofanti, «ma in oltre 5 mesi non hanno battuto un chiodo, non hanno cambiato nemmeno una serratura. Sono tutte frottole. La realtà è che i malati di infezioni ossee non sanno dove farsi curare e rischiano di vedersi amputare gli arti. Il personale, dopo la chiusura della gestione mista, è stato riassunto solo perché così non si sarebbe lamentato. Ma io sono ancora in contatto con molti dipendenti e mi dicono che sono pagati per non fare nulla. Mi dicono che stanno lì a girarsi i pollici, che hanno circa 8 o 10 malati ricoverati mentre prima erano 90. Anche i medici sono molto meno di prima. Adesso ho sentito che vogliono mettere la riabilitazione al Codivilla. I reparti di riabilitazione già funzionanti ci sono a Lamon, a meno di 100 chilometri da Cortina, e a Motta di Livenza. A Cortina dovevano continuare ad occuparsi delle osteomieliti. La realtà vergognosa», conclude Centofanti, «è che il Putti è stato chiuso definitivamente. Che tutte le promesse di Zaia, che sottolineava che non avrebbe chiuso nulla, sono state disattese. E la gente perde le gambe. Noi al Putti riuscivamo a salvare gli arti. Questa è un’omissione di servizio e mi stupisco che nessuno protesti. Fatta eccezione per il Corriere delle Alpi e per qualche intervento sui social, nessuno si occupa della cosa. Io sono stato intervistato da vari giornalisti, ma i servizi non sono mai andati in onda».
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