Cortina: si finge incinta per estorcere denaro
Cameriera rumena e complice denunciate da un imprenditore
Il tribunale di Treviso e l’avvocato Patelmo che difende il cortinese taglieggiato dalla cameriera
CORTINA.
«Dammi trentamila euro per abortire, altrimenti rischiamo entrambi la pelle se mio marito lo viene a sapere». Con queste parole una cameriera rumena convinse, nell'estate di due anni fa, un settantenne cortinese, gestore di un locale pubblico, a darle trentamila euro in assegni da riscuotere in banca. I soldi, in cambio del silenzio su un rapporto sessuale avuto con l'imprenditore cortinese tre settimane prima. Per quell'estorsione due rumene si trovano sotto processo a Treviso. In realtà la donna non rimase mai incinta di quel rapporto occasionale avuto con l'imprenditore, suo datore di lavoro, sebbene, all'incontro estorsivo con l'uomo si fosse presentata, assieme ad un 'amica, con un "pancione" chiaramente fasullo. Quel giorno, però, l'imprenditore cadde nella trappola e accettò di dare alla donna un anticipo in contanti e degli assegni da cambiare in banca con la somma richiesta. A dare man forte alla cameriera, c'era un'amica che sottolineò la "ferocia" del marito se avesse scoperto la tresca. A garanzia di quegli assegni, l'imprenditore consegnò alle due donne anche il libretto di circolazione del suo lussuoso fuoristrada. Pochi giorni dopo, però, la donna si rifece viva. «Non voglio gli assegni - disse - ma solo soldi in contanti». E prospettò all'imprenditore uno scambio, davanti ad un supermercato nella zona di Cornuda, in provincia di Treviso. A quel punto l'imprenditore (assistito dall'avvocato Paolo Patelmo), sentendosi in balìa dell'ormai ex dipendente (nel frattempo aveva lasciato il lavoro per la presunta gravidanza), decise di rivolgersi ai carabinieri. La denuncia dettagliata ai militari dell'Arma del comando provinciale di Treviso ha fatto scattare l'inchiesta. Lo scambio, però, non è mai avvenuto. I militari sono riusciti, dopo una perquisizione delle due indagate, a recuperare parte dei soldi e degli assegni, inseriti poi negli atti dell'indagine. Pochi giorni fa la vicenda è emersa in un'aula del tribunale di Treviso. Ma una questione tecnica ha fatto saltare l'udienza preliminare a carico delle due imputate. L'accusa nei loro confronti è quella di estorsione. Un 'accusa piuttosto pesante per la quale le due donne dell'Est Europa rischiano una condanna dai cinque ai dieci anni di reclusione ed una multa fino a duemila euro. Il punto è che le due donne, ad inchiesta in corso, hanno pensato bene di darsela a gambe. Attualmente, infatti, risultano entrambe irreperibili.
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