Costola: «Uniti per l'ospedale del Cadore»

L'ex primario del Suem: «Dobbiamo ottenere radiologia sulle 24 ore e direttore sanitario»
PIEVE DI CADORE. «Che l'unione faccia la forza, lo dicono i risultati ottenuti da ottobre ad oggi per l'Ospedale del Cadore: prima il recupero del tempo pieno nel reparto di ginecologia, poi in quello di pediatria, grazie all'entrata in servizio di due infermieri. Ora attendiamo buone notizie dalla radiologia». E' un appello all'unità quello che l'ex primario del Suem, Angelo Costola, lancia ai sindaci del Cadore e della conca ampezzana, durante l'articolato intervento tecnico che ha aperto il consiglio comunale di giovedì a Pieve. Angelo Costola, consigliere tecnico della Magnifica Comunità, è stato incaricato dai sindaci di seguire l'evolversi della situazione sanitaria in Cadore. Quello dell'ex primario è stato un intervento a 360 gradi, nel corso del quale, con la sua consueta verve, ha cercato di evidenziare le cause che stanno portando alla grave crisi dei servizi esistenti in Cadore. I consiglieri hanno seguito con attenzione quanto andava dicendo l'ex primario, che in più di una occasione ha coinvolto nei problemi l'intero auditorio. Al termine gli abbiamo posto una serie di domande. Un passo avanti, quindi, ma siamo ancora lontani dal poter dire che tutti i problemi sono risolti... «E' vero, anche se c'è una novità molto importante: il nuovo direttore generale Compostella sta mostrando un atteggiamento diverso rispetto al suo predecessore. Lui considera l'ospedale di Pieve in una rete unica con quelli di Belluno e di Agordo. In pratica la direzione generale non è più Belluno dipendente, ma vede i tre ospedali dell'Usl 1 sullo stesso piano. Ora si tratta di riottenere il servizio di radiologia sulle 24 ore, sospeso in novembre». Perché è tanto grave se la radiologia non funziona a Pieve? «Da medico so benissimo che la teleradiologia è utile e consente la lettura delle lastre fatte a Pieve anche da Belluno. Ma resta il problema che l'ecografia, necessaria al chirurgo prima di tagliare, non è trasmissibile. Per questo motivo servirebbe un radiologo a Pieve, senza contare che a Belluno non esiste una guardia radiologica presente: va chiamata in ospedale al momento del bisogno. Per quanto riguarda radiologia, questa è una unità operativa complessa e pertanto ha dei protocolli precisi da osservare. Se questi non sono rispettati, il medico ha delle grane. Ad esempio: se un ammalato di appendicite acuta viene ricoverato nella notte, per questa patologia, il protocollo richiede una ecografia. Se a Pieve non è possibile farla perché manca il medico, il paziente sarà trasferito a Belluno e quì sarà operato. In questo modo, però, scenderanno i numeri del reparto di chirurgia di Pieve. Cessando un po' alla volta tutte quelle prestazioni che classificano un ospedale "per acuti", il nosocomio potrebbe essere svalorizzato». Cosa costerebbe riattivare la reperibilità a Pieve? «Solo 50 euro a notte. Tutti siamo in grado di fare i conti: il trasporto di un ammalato a Belluno, i tempi del trasferimento, i disagi e i costi dei pazienti, sono di gran lunga superiori a questa somma». Perché, allora, la direzione di Belluno insiste sulla chiusura del servizio? «I tagli alla pediatria, la chiusura nei fine settimana di ostetricia-ginecologia e l'ultimo caso della radiologia, fanno parte di un cammino iniziato anni fa, da quando se n'è andato Lino Del Favero. L'obiettivo è svuotare l'ospedale cadorino, trasformandolo in un pronto soccorso con alcuni servizi ambulatoriali. Grazie a queste operazioni, tra poco Pieve non sarà più un ospedale per "acuti", bensi un semplice luogo di assistenza per lungodegenti». Perché sta succedendo questo? «Tutto è iniziato quando l'ex direttore generale Angonese ha cominciato a parlare di "Ospedale delle Dolomiti", ben sapendo cosa ciò comporterebbe: la perdita dell'identità acquisita nel tempo di ogni singolo ospedale funzionante sul territorio dolomitico, con la cessazione di molti servizi da questi erogati. Una volta accentrati tali servizi in un unico e grande nosocomio, i cittadini che vivono nei paesi delle varie vallate rimarrebbero senza i servizi essenziali. Gli agordini lo hanno capito subito e hanno attuato una forte azione di contrasto, mentre in Cadore solo quattro sindaci hanno compreso il pericoloso disegno. L'Ospedale delle Dolomiti non sarebbe stato altro che un unico ospedale per tutta la provincia di Belluno». Cosa potrebbe succedere adesso? «Il primo passo per lo svuotamento dei servizi dell'ospedale del Cadore era iniziato ben prima di Angonese, precisamente quando la pediatria di Pieve rimase senza primario. Invece di nominarne uno nuovo, il reparto è stato legato a quello di Belluno, con la conseguente diminuzione delle degenze nel reparto cadorino di circa il 40%. Dal luglio 2009, inoltre, l'ospedale del Cadore non ha più un direttore sanitario, che è a Belluno e si occupa del Cadore solo a tempo perso. E' indispensabile che sia ricreata questa figura, che dovrebbe servire per contrastare le mancate risposte di Belluno». Cosa fare allora? «L'unica soluzione è quella di attivare il dipartimento, una struttura prevista, ma non attuata. In poche parole, il direttore responsabile e i medici dovrebbero essere ruotati all'interno dei vari ospedali, fornendo così pari servizi a tutti».

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