«Costruiamo un progetto unitario e condiviso»

Nel libro “Kill Heidi” il suo testamento politico: «Basta con gli sterili campanilismi». I sogni per la sua amata terra e le delusioni per la “sudditanza verso Venezia”
Il consiglio provinciale appoggia il referendum per l'autonomia della provincia di Belluno. Sergio Reolon
Il consiglio provinciale appoggia il referendum per l'autonomia della provincia di Belluno. Sergio Reolon

BELLUNO. Il sogno di Sergio, coltivato in lunghi anni di frequentazione dei sentieri d'alta montagna e di illusioni per le quali ha impegnato tutta la sua vita politica. «Chiudo gli occhi e vedo le mie amate Dolomiti, i loro colori accesi, lividi e struggenti, sento i loro profumi, rivivo le tante salite sotto il sole, la neve e il vento in compagnia delle persone con cui ho potuto condividere il cammino». Immaginiamo che proprio così si sia semplicemente addormentato ieri mattina alle sette Sergio Reolon. Ma, diciamolo subito, non era un paradiso da “Kil Heidi” quello che aveva in testa, proprio il contrario. L'opposto cioè degli stereotipi della montagna che viziano quanti non riescono a rigenerarsi nelle contraddizioni, anche esistenziali, delle terre alte. Quanto più amava salire in quota, affascinato dalla bellezza di un Creato in cui credeva di non credere - ma nei fatti era l'opposto - tanto più Sergio s'impegnava a cercare le soluzioni perché questo patrimonio diventasse davvero un bene condiviso. Condiviso non nell'abuso, nello sfruttamento - come Reolon vedeva accadere ogni giorno di più e come egli stesso s'intestardiva a denunciare - ma nella protezione attiva, non conservativa.

Belluno, è morto Sergio Reolon
Sergio Reolon

Ed ecco le Dolomiti riconosciute come patrimonio universale Unesco. È davvero imperdonabile, al riguardo, che si sia data la sensazione a Reolon di non avergli riconosciuto questo merito, come lui stesso ha amaramente constatato. «Senza bellezza non si realizza la vita», ha scritto nell'ultimo suo lavoro dedicato a “come uccidere gli stereotipi della montagna”. «Quella bellezza che mi ha sempre spronato, nutrito e accompagnato e che ancora mi tiene in vita». Non si capisce la battaglia di Sergio per l'autonomia progressiva della provincia di Belluno se non si coglie questo approccio filosofico, ma anche pregno di fisicità. Non ci si spiega neppure il suo accanimento per difendere l'acqua, pardon tutte le acque delle sorgenti dolomitiche, se non si fanno i conti con la sua interpretazione rigorosa della bellezza. Un rigore che probabilmente Reolon aveva raccolto nelle profondità del pensiero dell'indimenticato vescovo Vincenzo Savio, ineguagliabile scopritore delle bellezze spesso ancora recondite del Bellunese.

Che cosa ha fatto Reolon da presidente della provincia di Belluno? Quel Reolon, non lo si dimentichi, che ha sempre concepito “la vita in pendenza”, quindi come risultato di delicati equilibri. Sergio, che si riteneva un laico, si è affidato a monsignor Giuseppe Andrich per avviare la singolare esperienza degli stati generali della Provincia. Non mega convegni inconcludenti, ma piccoli cenacoli di bellunesi con la capacità di decidere nelle loro aree di influenza e soprattutto, di condividere traiettorie di sviluppo. Sotto il segno della relazionalità e non della chiusura e magari di un autogoverno asfittico.

Ecco perché Reolon ha subito condiviso il sogno di Luca Zaia di ripristinare il treno delle Dolomiti, anche se insisteva perché venissero intanto risolti i problemi quotidiani della mobilità ferroviaria, a cominciare dal superamento delle cosiddette rotture di cambio a Montebelluna e Conegliano. Con altrettanta forza, invece, Reolon si dichiarava contrario alla Venezia-Monaco.

Il futuro della montagna lo intravedeva all'orizzonte delle esperienze dei sempre più numerosi giovani che stanno ritornando alle terre alte. Prima ancora di essere colpito dalla malattia, Reolon ha cominciato a esternare la sua delusione verso una politica che per quanto riguarda Belluno era a suo dire di sudditanza e subalternità con Venezia. «In una relazione esclusivamente verticale».

In queste ore è unanime il riconoscimento, da parte di amici e avversari, dell'onestà intellettuale di Reolon. Tanto più onore se tutti l'hanno fatto dopo aver letto pagina 68 di “Kil Heidi”. «Ogni amministratore, ogni responsabile di ente e di categoria si è mosso per conto proprio su obiettivi parziali», ha scritto Reolon sulla relazionalità fra Belluno e Venezia, «recandosi con il cappello in mano, da suddito, a implorare concessioni o a subire angherie negli uffici della giunta regionale. Mai vi è stato un progetto che avesse l'ambizione e la possibilità di dare dignità e prospettiva a questo territorio». Il motivo? È l'impegno di cui ci si deve far carico oggi in memoria di Sergio: «Superare quel cancro maledetto provocato dalle divisioni, dalle gelosie, dalle invidie, dagli sterili campanilismi e fare della provincia l'ente in grado di costruire un progetto unitario e condiviso».

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