Cresce il numero dei ricoverati scende la mortalità

L’indagine condotta dal Giviti relativamente all’anno 2014 Poole: «Con pochi infermieri, il rischio di morte aumenta»
Di Paola Dall’anese

BELLUNO. Cresce il numero di pazienti traumatizzati ricoverati nell’unità operativa di Rianimazione dell’ospedale di Belluno. Al tempo stesso, diminuisce la percentuale di quelli ammessi nel reparto per il controllo post operatorio. Sono tra i valori migliori del Veneto quelli registrati al San Martino: lo si evince dalle analisi effettuate dal “Giviti”, il Gruppo italiano per la valutazione degli interventi in terapia intensiva. Ne fa parte Daniele Poole, medico anestesista di Belluno.

Il Giviti elabora, annualmente, i dati che riguardano i pazienti ricoverati nei reparti di Rianimazione aderenti ad esso (250 al progetto “Margherita”), fornendo un report dettagliato circa la tipologia dei pazienti, i loro profili di cura e gli esiti delle terapie.

L’indagine. Nel 2014 la Rianimazione di Belluno ha accolto 443 pazienti, con una età media di 68 anni. Significativo il numero di traumatizzati (il 22%, rispetto all’ 11,5% delle Rianimazioni del Veneto), un valore condizionato in parte dalla propensione turistica della provincia: «Un dato che evidenzia il ruolo fondamentale svolto da Belluno nella gestione di questi pazienti. Il tutto grazie alla presenza della Neurochirurgia, oltre che della Chirurgia generale e della Traumatologia», dicono dalla direzione strategica dell’Usl 1.

Sala di risveglio post operatorio. Da sottolineare anche la percentuale del 18,4 (il 36,3% del Veneto) relativa ai pazienti ammessi in Rianimazione per il controllo post operatorio. «A Belluno è funzionante dal 2004 una sala di risveglio post operatorio», spiega Davide Mazzon, direttore della Rianimazione, «che consente il controllo dei pazienti sottoposti a interventi di chirurgia maggiore, senza che essi occupino posti letto destinati a pazienti più critici».

Tale sala nel 2014 ha accolto 425 pazienti reduci da interventi chirurgici. «Si tratta di un servizio che ha un triplice effetto», prosegue il primario. «Da un lato si garantisce il trasferimento in reparto del paziente senza più gli effetti dell’anestesia; dall’altro si rende più semplice il rientro in sala operatoria in caso di complicanze; infine consente ai pazienti di essere monitorati in un posto e con personale specializzato e mi riferisco agli infermieri e ai medici dell’Anestesia».

La mortalità. I dati del 2014 mostrano che i pazienti accolti nella Rianimazione di Belluno presentano un rischio di morte inferiore rispetto a quanto previsto dal modello prognostico elaborato dal Giviti e riferito alla totalità dei reparti aderenti al progetto.

I decessi osservati sono stati 76, otto in meno rispetto agli 84 previsti da tale modello. «Anche se questo dato non ha una certezza statisticamente dimostrabile», commenta Poole, «suggerirebbe un trend in miglioramento rispetto agli anni passati. I dati dell’anno prossimo ci diranno se verrà confermato».

Il progetto “Start”. La Terapia intensiva di Belluno partecipaanche allo studio StArt (Studio sulla Appropriatezza dei ricoveri in Terapia intensiva) finanziato dal Veneto per il 2014. Lo studio ha raccolto dati su quasi 10 mila pazienti, ammessi in 21 Terapie intensive ed è pensato per valutare l’appropriatezza dei ricoveri dal punto di vista organizzativo. In poche parole, si vuole capire se c’è un numero sufficiente di infermieri per gestire i pazienti e la complessità dei casi.

«È stato dimostrato», preannuncia Poole, «che, se gli infermieri sono in difetto, la mortalità dei pazienti aumenta. Si tratta, di dati ancora da pubblicare, ma che comunque ci fanno capire che bisogna ragionare in un’ottica di rete di ospedali: le risorse in eccesso vanno ridistribuite a chi ne ha meno».

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