Crisi occhialeria, gli ordini sono azzerati: «Il mondo si è fermato e con esso l’export»

BELLUNO
«Era impossibile prevedere uno scenario peggiore, soprattutto per un settore come il nostro che vive al 90% di export. Il mondo, a causa del Coronavirus, si è bloccato e la domanda è scesa a zero. Una situazione drammatica, da cui cerchiamo di risollevarci. Ma l’orizzonte è ancora pieno di nubi».
Giovanni Vitaloni, presidente di Anfao (l’associazione che riunisce i fabbricanti di articoli ottici) analizza gli effetti di un anno orribile.
Come state reagendo?
«A livello associativo cerchiamo di spingere i governanti a incentivare il traffico presso i punti vendita; bisogna puntare su tutto quello che può far tornare il consumatore presso gli ottici».
In che modo?
«In Italia abbiamo fatto una proposta concreta al Governo, al presidente Conte, ma anche ai ministri Speranza, Patuanelli, Gualtieri, sollecitandoli con una lettera, a firma “Commissione difesa vista”, una onlus di cui facciamo parte con gli ottici e tutti gli altri protagonisti della filiere e che è presieduta da Vittorio Tabacchi. Va ribadito, infatti, che la vista è un bene fondamentale e che in questo lungo periodo di clausura è stata particolarmente sollecitata e affaticata dall’utilizzo intenso dei computer. Ciò che chiediamo è un intervento di prevenzione medica che, oltre a favorire i consumi attraverso misure rivolte direttamente ai cittadini, si preoccupi di salvaguardarne la salute».
Di più Vitaloni non dice, ma si dovrebbe trattare di un buono sconto per il consumatore che voglia acquistare un paio di occhiali da vista; e di una maggiore detrazione fiscale rispetto all’attuale, che è del 19%.
Avete avuto qualche riscontro dal Governo?
«Lo stiamo aspettando e siamo fiduciosi. Ed è altrettanto fondamentale immettere liquidità nelle aziende: dai 25 mila euro per i negozi degli ottici che ne fanno richiesta ai finanziamenti alle imprese. Con il sistema Confindustria Moda stiamo facendo molta pressione per favorire un allentamento delle strettoie burocratiche, fra le garanzie statali e il mondo bancario. Va tutto troppo a rilento».
Resta il problema dell’estero.
«Che è fondamentale, vale il 90% del fatturato del settore. Consideriamo che l’occhialeria ha sempre potuto lavorare e mantenere attive le produzioni in Italia e che tutte le nostre aziende si sono adoperate immediatamente per seguire scrupolosamente i protocolli di sicurezza. Ma finché non ripartono i consumi restiamo al palo. Pensiamo poi ai viaggi: prima, ad esempio, ci si poteva spostare dalla Cina al Giappone in tre giorni per visitare i clienti. Oggi se uno lo volesse fare deve mettere in conto 14 giorni di quarantena in un paese e 14 nell’altro. Per tre giorni di lavoro devi stare fermo oltre un mese. Improponibile».
Quali mercati vi preoccupano di più?
«Senza dubbio quello americano, che vale il 26% del nostro export; poi in Europa la Francia, che pesa per il 10% del nostro export e dove per otto settimane è rimasta chiusa la quasi totalità dei 12 mila punti vendita».
Sono saltati anche tutti gli eventi.
«Due anni di lavoro per preparare la 50ª edizione di Mido e il 22 febbraio abbiamo dovuto annullarla, proprio quando le aziende erano pronte a presentare le loro collezioni, avevano fatto i loro investimenti per la produzione, sostenendo un grosso impegno finanziario. Di colpo, la domanda è scesa a zero. Come essere stati sgambettati nel momento di spiccare il salto. Un danno incredibile».
Uno scenario quindi a tinte molto fosche.
«Questo è il quadro attuale. Ed è un vero peccato perché il settore è sano. Nei primi due mesi dell’anno le esportazioni erano cresciute del 4% rispetto alla fine del 2019. Su un distretto solido si è abbattuta un’emergenza assolutamente non prevedibile. Adesso si tratta di rialzare la testa, nella consapevolezza che in aprile il fatturato è stato pari a zero».
Qual è il suo appello?
«Dobbiamo far di tutto per far ripartire la domanda, superando il più rapidamente possibile questa fase di incertezza che, ripeto, non riguarda solo l’Italia, ma tutto il mondo. Vedo tanta voglia di reagire nelle imprese e nei negozi. Per questo ho fiducia». —
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