Da Pieve fino in Uganda passando per la Baviera

Cristina Reverzani, passato da avvocato brevettuale europeo, cambia vita a 40 anni Si laurea in medicina e va nell’ospedale italiano di Lacor, a contatto coi malati di ebola 

PIEVE DI CADORE. Da Pieve in Uganda passando per Monaco di Baviera. La storia di Cristina Reverzani, cadorina di nascita ma tedesca d’adozione, ruota attorno ad un sogno di bambina coronato a quarant’anni. Una vita intensa, quella della Reverzani, divisa in due parti: la prima trascorsa nelle vesti di affermata professionista, avvocato brevettuale europeo residente a Monaco dove si era trasferita dopo la laurea in chimica conseguita a Milano. Quindici anni in giro per il mondo ad incontrare inventori fino all’illuminazione: quel sogno di bambina che torna in auge, a quarant’anni suonati.

«Ho sempre avuto una speciale predilezione per il terzo mondo: quando ero piccola e qualcuno mi chiedeva cosa avrei voluto fare da grande rispondevo: curare mia madre anziana e i piccoli di colore».

Dal sogno alla realtà passando per l’università di Monaco, dove nel giro di poco tempo Cristina Reverzani ha conseguito una laurea in medicina specializzandosi successivamente in ginecologia.

«In Germania è tutto più pratico rispetto all’Italia, questo ha inciso in maniera determinante sul mio repentino cambio di vita. Non rinnego nulla di quello che ho fatto in precedenza, avevo un lavoro molto bello in un contesto eccezionale; ma, ad un certo punto, qualcosa è riemerso con prepotenza dal passato».

È così che per lei inizia una nuova vita, che ben presto la porta in Africa: prima in Etiopia e poi in Uganda...

«Nel periodo di studi ho sostenuto alcuni viaggi nelle vesti di praticante», ricorda la Reverzani, «l’Africa nasconde qualcosa di magico nella sua drammaticità. Le sproporzioni della vita quotidiana con il resto del mondo ti portano a fare i conti con la coscienza. È stato così anche per me: ho capito subito che quello era il posto giusto, la mia personale fonte di appagamento. Quando metti piede in Africa senti di dover dare qualcosa. Le donne vivono in un contesto disumano, per loro non esistono assolutamente diritti».

La storia recente della dottoressa Cristina Reverzani si concentra a Lacor, nel nord dell’Uganda, in un luogo non molto lontano da Gulu, dove la guerra civile ha compiuto una strage silenziosa con migliaia di morti. Non solo la guerra civile, ma anche l’ebola che nel 2000 ha decimato la popolazione locale. A Lacor oggi sorge un ospedale-modello fondato da una famiglia italiana negli anni sessanta, i coniugi brianzoli Corti: pediatra lui, chirurgo di origini canadesi lei.

«Questo ospedale è un miracolo», spiega Cristina Reverzani, «opera nel contesto di una cittadella medievale, fondamentale per difendersi dalla guerra civile. Al suo interno si muovono cinquemila persona, seicento sono i dipendenti che ci vivono insieme alle rispettive famiglie».

Lei ha raggiunto Lacor nell’agosto 2017, a pochi mesi dalla laurea in medicina conseguita a dicembre 2016.

«Sono rientrata a Monaco dove risiedo con mio marito solo pochi giorni fa e non vedo l’ora di ripartire. Lo farò nei prossimi mesi, non prima però di aver fatto ritorno nella mia vera casa, quella di Pieve si Cadore, dove vivono i miei genitori con mio fratello».

Il ritorno a Pieve di Cristina Reverzani coinciderà con un incontro pubblico in programma mercoledì nella sala del consiglio della Magnifica alle ore 20.45. Incontro naturalmente legato all’Africa, utile per incentivare una raccolta fondi già lanciata e che proprio sul territorio cadorino ha fatto registrare una massiccia adesione; ma utile anche a soprattutto per presentare l’ospedale di Lacor. Cristina Reverzani sarà accompagnata da un missionario, fratel Elio Croce, originario di Moena trasferitosi in Uganda a metà degli anni Ottanta: «Uomo speciale, il motore della struttura», conclude la Reverzani.

Argomenti:buone notizie

Riproduzione riservata © Corriere delle Alpi