Da tecnico di cucina a docente di sostegno
Cresce la protesta tra gli insegnanti dopo la sentenza del Tar del Lazio che privilegia chi non ha abilitazione e esperienza
17/05/2011 Roma, scuola media statale Ippolito Nievo, nella foto alunni in classe FOTO PROVVISTE DI LIBERATORIA
BELLUNO. Docenti di materie tecnico-pratiche (in sigla Itp, come i tecnici di laboratorio o chi si occupa della sala o della cucina negli istituti alberghieri) che, grazie ad un ricorso al Tar approdano al ruolo di sostegno, superando in graduatoria i colleghi che da anni lavorano senza abilitazione, non avendo potuto accedere ai corsi specializzanti. E tutto questo perché non ci sono più docenti di sostegno abilitati.
A lamentarsi di questa situazione sono gli stessi insegnanti di sostegno, magari anche laureati, che si sono visti surclassare da altri colleghi che si sono rivolti ad un giudice: si chiedono quale possa essere la qualità dell’istruzione garantita con queste premesse. Problema che dal Ministero dell’Istruzione ancora stentano a risolvere. Forse perché, come rileva qualcuno, il sostegno è sempre stato il fanalino di coda nella didattica.
«Quest’estate», riferisce un insegnante, «alcuni diplomati degli istituti tecnico-pratici hanno presentato un ricorso al Tar del Lazio per essere inseriti nella graduatoria di seconda fascia di istituto, ossia tra gli insegnanti abilitati. I diplomati tecnico pratici hanno possibilità di insegnare materie tecnico-pratiche (ad esempio sala e cucina agli Istituti alberghieri), per le quali non esiste un percorso universitario».
E fin qui tutto bene. Il problema si solleva però nel caso del sostegno. Non essendoci abbastanza abilitati per questa specializzazione, i dirigenti scolastici sono stati costretti a convocare i docenti, incrociando tutte le graduatorie di qualsiasi materia, per cui chiunque può ritrovarsi a seguire ragazzi che hanno i più svariati problemi.
L’anno scorso era stato bandito un tirocinio formativo attivo (Tfa) per il sostegno, aperto ai soli abilitati nella propria classe di concorso, escludendo moltissimi insegnanti iscritti alla terza fascia di istituto, quella dei non abilitati, ma che già da anni lavoravano sul sostegno. «Insegnanti laureati, alla fine, si sono visti negare la possibilità di specializzarsi nel settore su cui da anni stavano già facendo esperienza», precisano alcuni docenti che aggiungono: «Oltre il danno è arrivata però la beffa a settembre: persone con un solo diploma alberghiero o turistico, inseriti grazie al ricorso in seconda fascia, hanno preso gran parte delle cattedre di sostegno, lasciando a bocca asciutta altri colleghi anche loro senza abilitazione ma in terza fascia», dicono gli insegnanti che hanno attivato anche sui social una petizione “No ai docenti Itp in seconda fascia” per impedire che questa pratica continui. Una pratica che fa scattare una sorta di “guerra tra poveri”, visto che tutti sono comunque precari.
La questione che si apre è relativa «alla qualità del sostegno riservato a quei ragazzi che si ritroveranno seguiti per l’intero anno da un docente che non ha avuto quella formazione adeguata per gestire casi di autismo o altro. Ci sono poi casi di docenti tecnico pratici che hanno rifiutato ore nelle loro materie per prendere una cattedra intera di supplenza nel sostegno».
«Le scuole sono rimaste impotenti di fronte a questa situazione che legalmente è stata autorizzata da un ricorso. Questo è successo non solo in provincia di Belluno, ma in tutto il Veneto e nelle altre province italiane. Ci chiediamo se tutta questa leggerezza con cui viene trattato il sostegno, che viene assegnato sulla base di certificazioni mediche, sia degna di un paese civile. Crediamo sia corretto che i genitori di ragazzi certificati, che hanno diritto al sostegno, sappiano cosa sta accadendo: insegnanti laureati e con esperienza nel sostegno non vengono nemmeno messi nella possibilità di frequentare i corsi di abilitazione, e nel frattempo i loro figli vengono affidati a diplomati (anche neo diplomati) che anche loro non hanno la specializzazione, ma sono stati considerati “abili” solo da una sentenza del Tar del Lazio».
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