Da venerdì un cadorino “ostaggio” a Istanbul

La neve blocca in aeroporto anche Roberto Coletti, originario di Tai  che fa il gelatiere a Utrecht

PIEVE DI CADORE. «Stavo andando in Africa, avevo solo da fare un piccolo scalo tecnico a Istanbul. Poi qui è venuta una botta di neve ed ora, da venerdì, siamo ostaggi all'aeroporto Atartuc, senza bagaglio e senza sapere quale sarà il nostro destino».

Roberto Coletti, originario di Tai, vive a Utrecht dove fa il gelatiere. Per sua fortuna prende la vita con leggerezza, come dimostrano i video che posta in queste ore su Facebook, perché l'avventura che sta vivendo potrebbe essere la trama di un film, dell'orrore però.

«Sì, siamo ostaggi della neve», commenta via Whatsapp nel tardo pomeriggio, « ma anche e soprattutto della completa disorganizzazione della Turkish Airlines, che spende un mucchio di soldi per farsi la pubblicità con Leo Messi e poi non ha uno straccio di piano d'azione in caso di emergenze come questa. Il risultato? Migliaia di persone in coda per un timbro, poi sbattute su autobus di fortuna, scaricate in alberghi in cui scarseggia il mangiare, abbandonate al loro destino senza bagaglio e soprattutto senza alcuna informazione. Adesso ci dicono che dovremmo avere un volo giovedì alle 17 per rientrare a Milano. La vacanza è andata, e con questa i soldi, 2.300 euro. Ma abbiamo anche paura, perché in questa città il rischio attentati è all'ordine del giorno».

Roberto era diretto in Etiopia per un tour nella Valle dell'Omo, alle radici della presenza umana sulla terra. L'ultima wilderness africana, come propongono i tour operator. Ma la jungla l'ha trovata a Istanbul.

«Poiché Addis Abeba è collegata male, ci hanno proposto una delle compagnie ritenute fra le migliori, la Turkish Airlines appunto, con scalo qui».

Partenza dunque venerdì scorso alle 15 da Milano, arrivo nella città turca alle 17, nuovo imbarco alle 19. Frattanto aveva iniziato a nevischiare.

«Prima annunciano il ritardo, poi alle 22 l'aeroporto viene chiuso per neve e qui si scatena il dramma. Oltre 3.000 persone che vagano in un aeroporto immenso, senza alcuna indicazione. Uno scalo che ha la pretesa di collegare l'Asia con l'Europa e dove manca anche la minima segnaletica».

Coletti racconta incredulo come i viaggiatori siano stati da subito abbandonati.

«Vivo in Olanda dove hanno un piano anche in caso di caduta delle foglie. Qui tutto è lasciato all'improvvisazione. Non sanno gestire una crisi, sembra che non sia un problema loro ma del passeggero».

Il calvario inizia in coda: mezz'ora per avere il timbro per uscire dalla zona sicurezza, ma la fila era sbagliata. Un'altra ora e poi ancora in fila al desk esterno della Turkish, con soli due addetti a gestire una coda di almeno 100 metri.

«Ed ovviamente file non ordinate. Gente con destinazioni esotiche e che viaggia con le infradito, costretta a scendere rampe coperte di neve per raggiungere i pullman che dovrebbero condurla in albergo. E lì altre code per accreditarsi e ricevere finalmente una stanza alle tre di notte di venerdì. Siamo ritornati in aeroporto un’altra volta, ci hanno detto che un volo ci sarebbe stato, poi è stato soppresso. Intanto ci siamo dovuti rifare il guardaroba invernale, ci muoviamo in taxi o in metro, con tanta paura di attentati. E nessun aiuto dal consolato; in albergo non sanno nulla e intanto ti spennano, in aeroporto danno solo due ore di internet a settimana. Almeno potevano aprire il wi-fi e consentire a tutti di contattare i familiari senza spese».

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