Dai Boccingher il ferro prende vita
SAPPADA. «Le macchine non potranno mai sostituire la mano del fabbro e i colpi del suo martello». Fabrizio Boccingher, classe 1983, ne è convinto ed è per questo che prosegue con passione il lavoro del padre Fabio (1952). Quest’ultimo è il fabbro di Sappada dal 1974, quando, insieme al fratello Aurelio, che prima lavorava nella miniera di Salafossa, decisero di mettersi in proprio nel garage di piazza Bach e di creare la loro Dorfschmiede F.lli Boccingher, la fucina del paese. «Altri tempi», spiega Fabio, «quando dovevamo interrompere il lavoro nelle prime ore del pomeriggio per non disturbare, con il nostro rumore, il riposo dei vicini di casa. O quando io stavo nella piazzetta, con in mano qualche pezzo appena fatto, per invogliare i primi clienti».
Dal 1983 la fucina (che mantiene la stessa bella insegna) si è spostata in Borgo Bach 212 e da lì escono manufatti in ferro, esclusivamente forgiati a mano, pezzi unici. Si va dai cancelli alle inferriate, dai lampioni (di cui è tappezzata Sappada) alle ringhiere, dai campanacci delle classiche maschere sappadine, i Rollate, alle fioriere, dai bastoni delle tende alle forgiature artistiche per i monumenti, a lampade, lampadari, applique. E si ristrutturano anche le classiche cucine in ferro di una volta.
«Tre quarti delle croci del nostro cimitero le abbiamo fatte noi», ricorda Fabio. «E recentemente ho fatto anche una cintura di castità», spiega il figlio Fabrizio, «per un cliente toscano appassionato di cose medievali. Mentre una signora del North Carolina (Usa) mi ha chiesto una copia di una croce che avevo fatto per essere posta su una cima di montagna».
Fabio ha studiato da congegnatore meccanico a Santo Stefano, poi ha lavorato in fabbrica a Belluno, quindi si è messo in proprio. «Con mio fratello guardavamo quello che facevano in Pusteria. Partimmo che avevamo solo una forgia presa in prestito, un’incudine, una trancia, qualche martello».
Anche il primo Boccingher sappadino, un certo Carlo, era fabbro e quando arrivò dall’Austria nel 1730 partecipò alla costruzione della Chiesa parrocchiale di Santa Margherita. Fabio ed Aurelio lo hanno saputo solo dopo aver intrapreso questa attività, che evidentemente è nella natura della famiglia, come sottolinea Fabrizio. «La prima cosa che ho fatto con le mie mani è stato proprio un martello, perché i veri fabbri forgiavano anche i loro strumenti di lavoro. Oggi è cambiato quasi tutto. I fabbri sembrano diventati dei sarti: cioè cuciono insieme pezzi prefabbricati; niente a che vedere con quello che facciamo noi e che mantiene ancora una forte impronta artistica anche nella lavorazione di pezzi seriali».
Il ferro arrivava una volta da Tolmezzo, ora da una rivendita di Belluno. «Una volta alla settimana, se va bene, ma a volte rischi anche di trovarti senza la materia prima». E le zincherie poi sono a San Vito al Tagliamento o Pieve di Soligo. «Insomma, quassù in montagna è tutto più difficile e tutto costa un po’ di più rispetto alla pianura e ci scontriamo con i turisti perché i nostri prezzi sono più alti e loro non sanno distinguere fra un semilavorato, che a volte arriva addirittura dalla Cina, e un pezzo forgiato a mano come il nostro. Ma è proprio per i fabbri come noi che la forgiatura è diventata un’arte e il ferro battuto ha trovato spazio nell’architettura, dal romanico al liberty».
Quindi Fabrizio non demorde. «Questa è la mia passione ed io cerco di documentarmi e di migliorarmi, anche attraverso il confronto con alcuni maestri. Ad esempio in Repubblica Ceca la forgiatura viene considerata tutt’oggi un’arte ed esiste un liceo apposito. Così in Germania ed in Austria. E a Stia, in provincia di Arezzo, esiste un vero e proprio campionato del mondo della forgiatura, a cui ho partecipato tre anni fa arrivando terzo». E Fabrizio mostra il bozzetto della sua opera, modellata sul tema del concorso che era dedicato alla plasticità. Un pezzo di ferro che sembra prendere vita.
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