Dal lapidario all’Ottocento tra dipinti, porcellane e gioielli
In Palazzo Fulcis sono esposte 600 opere delle collezioni del Museo civico. Il percorso poggia, anche simbolicamente, sul lapidario allestito nel piano interrato e prende corpo dai fondi più antichi su cui sorse il Museo: i dipinti della collezione Giampiccoli, di cui fanno parte le due splendide Madonne con bambino di Domenico Montagna, e i bronzetti rinascimentali di Florio Miari. Di massimo interesse sono anche la collezione Zambelli di porcellane del Settecento e la Prosdocimi-Bozzoli di gioielli popolari.
Le stanze del primo piano ospitano gli inizi dell’arte bellunese con il tardogotico Simone da Cusighe e il più innovatore tra i suoi allievi, Matteo Cesa, che seppe integrare l’insegnamento dei Vivarini con il magistero di Andrea Mantegna. Tra Quattro e Cinquecento si collocano gli affreschi della Caminata (la sala con camino del Consiglio del palazzo dell’Antica Comunità di Belluno) con allegorie di Virtù ed episodi di storia antica, di Jacopo da Montagnana e Pomponio Amalteo. Spunti tizianeschi, ora più attenti al manierismo di Paris Bordon, ora al limpido cromatismo di Palma il Vecchio, si trovano in Nicolò De Stefani e Bernardino Licinio. In Cristo davanti a Pilato, Domenico Tintoretto mostra evidenti debiti con lo stile del padre Jacopo, soprattutto nei contrasti di luce e nell’accentuata teatralità. Tra spunti controriformistici e anticipi barocchi si muovono Jacopo Bassano e Palma il giovane, testimoniati nelle collezioni del Museo il primo con una versione del celebre Martirio di San Lorenzo, dipinto per la cattedrale di Belluno, il secondo con uno struggente Compianto.
La collezione di disegni e stampe comprende dei veri e propri gioielli, tra cui l’album di Andrea Brustolon e i disegni di Ippolito Caffi. I “quadri da stanza” di età barocca sono esempi di pittura intimistica veneta, come il ritratto di giovane di Frà Galgario.
Se la lezione di Tiziano detta legge sin oltre il Cinquecento, il Barocco trionfa a Belluno con l’artista del legno Andrea Brustolon e le mirabolanti tele di Sebastiano Ricci. Del Brustolon, oltre alle opere lignee, sono anche dei bozzetti in terracotta, preparatori del modello d’intaglio, che rivelano un naturalismo di grande sensibilità plastica. La magia del paesaggio veneziano settecentesco è rappresentata da Marco Ricci, Antonio Diziani e Giuseppe Zais. Ma è Sebastiano Ricci il protagonista della fortuna del Barocco-Rococò a Venezia e in Europa e ben lo mostrano le tele del Camerino d’Ercole, non ancora nella disponibilità del Museo e dunque, date le dimensioni, allestite provvisoriamente all’ultimo piano del palazzo. Il rutilante rovesciarsi di Fetonte con il carro e i cavalli, rappresenta un capolavoro di effetti incalzati da lampi di luce. Di Ricci sono altri dipinti che ne seguono l’evoluzione e se la Pazienza di Giobbe presenta ancora intensi contrasti chiaroscurali, squisitamente neo-veronesiano è il Riposo durante la fuga in Egitto, mentre il bozzetto con Il satiro e la famiglia del contadino mostra una pittura tarda, più ricca d’impasto e di tocco.
L’Ottocento riserva le vedute di Ippolito Caffi che a Belluno ebbe i natali divenendo celebre come reporter e come maestro della veduta romantica. (v. bar.)
Riproduzione riservata © Corriere delle Alpi