Dal mare all’alpeggio, la scelta di Michela: a Carfon i bambini possono giocare liberi
Di Salvio, 41 anni, era venuta sulle Dolomiti da lavoratrice stagionale. Qui ha conosciuto il marito e trovato una nuova prospettiva di vita
CANALE D’AGORDO. «Io sono innamorata di Carfón, mi piace perché c’è sempre il sole. Sono arrivata qui per caso, ma oggi per me è impensabile una vita da un’altra parte». Ciò che dice Michela Disalvio è una dichiarazione d’amore alla terra che l’ha accolta riuscendo ad attenuare la nostalgia del mare, ma non è del tutto vero: in realtà, infatti, per quattro buoni mesi all’anno, con il marito e i tre figli lascia la frazione alta del comune di Canale d’Agordo e si sposta ai 1815 metri di malga Ai Lach, nel comprensorio pascolivo del comune di Falcade. Quella che si appresta a iniziare sarà la sua sesta stagione fra mucche e piatti tipici, fra natura e turisti. «Quando mi chiamano – si sorprende rispondendo alla telefonata per fissare l’intervista – di solito cercano mio marito». Ma se è vero che Tiziano Crepaz è noto nell’ambiente zootecnico per aver raccolto l’eredità del padre Leo nella conduzione di una stalla al Vaut (Valt) di Falcade, per volerne costruire una nuova a Vallada e per lavorare con competenza il latte, la gestione dell’agriturismo connesso alla malga è appannaggio di questa donna minuta e gagliarda di 41 anni le cui origini sono sul mare di Vieste, in Puglia.
Tre figli da tirar su in una frazione lontana dai centri servizi che negli ultimi anni ha conosciuto il rischio di isolamento a causa di una frana; d’inverno la stagione negli alberghi; d’estate in montagna dove, come dice lei, «vita privata e pubblica finiscono per mescolarsi». Michela, però, sa come si fa a rimboccarsi le maniche. «Mi dicono: “Ma come fai a stare su a Carfón con le difficoltà che ci sono?”. Rispondo che, con la scusa che mio marito è spesso nella stalla, mi sono impratichita. Non sai quante volte mi è toccato metter su le catene da sola. Qualcuno del posto non sa mica farlo». Se la ride per questa osservazione a cui fa subito seguire una carezza. «Qui mi trattano tutti come una paesana – dice – e io, che ho anche imparato il dialetto, mi sento bene. In questo piccolo villaggio c’è tanta collaborazione e coordinazione: quando fanno la “part de le legne” si mettono d’accordo per chiudere la strada una volta sola e ora si sta lavorando per l’affresco da dedicare a Valerio Da Pos, il poeta-contadino morto 200 anni fa. Oltre a noi ci sono altre due-tre coppie giovani con figli e io spero che ne arrivino delle altre. Qui i bambini possono scendere a giocare liberamente in strada, le scuole hanno classi poco numerose e penso sia positivo anche se auspico che i plessi dei singoli comuni possano essere unificati per superare il ricorso alle pluriclassi».
A Carfón Michela è arrivata nel 2010, a sei anni dal suo secondo approdo in Agordino. Il primo era stato poco dopo la maturità conseguita all’istituto alberghiero di Vieste. «Ero venuta su grazie a dei contatti con miei paesani che si erano stabiliti qui – racconta – ero andata nella zona di Arabba, ma non era stata un’esperienza particolarmente positiva e quindi avevo deciso di scendere, pensando che sarei rimasta lì». Giù trova il fidanzato e il lavoro in un negozio di vestiti. Ma quando il legame affettivo viene meno, anche l’impiego come commessa è messo in discussione.
«Il 26 dicembre 2004 nevicava alla grande – ricorda – e io, che non avevo mai visto la neve, arrivavo in piazza a Falcade dove quelli dell’albergo al Pian della Sussistenza, sotto al passo Valles, sarebbero venuti a prendermi. In Valle del Biois feci due stagioni invernali e due estive e nel frattempo conobbi Tiziano che sarebbe diventato mio marito e con cui nel 2010 avremmo iniziato i lavori di recupero della casa di sua nonna a Carfón a cui lui era ed è molto affezionato». «Se ci penso – continua – delle tre sorelle io ero quella che diceva a mio padre: “Sarò il bastone della tua vecchiaia, non me ne andrò mai da Vieste”. Le altre due, invece, pensavano di andare via. Alla fine è successo il contrario. Non avrei mai pensato di farmi una vita altrove, ma oggi sono contenta che sia andata così».
Michela aveva lavorato per due anni anche in Luxottica, ma non era il suo. Così ha continuato a fare le stagioni negli hotel, negli alberghi e nei rifugi. Quando arriva, il 2017 rappresenta una svolta. «Il padre di Tiziano – dice Michela – aveva deciso di chiudere l’attività e così mio marito ha scelto di subentrargli. Nello stesso tempo è uscito il bando per la gestione di malga Ai Lach. Tiziano non sta mai fermo e così ha proposto di partecipare. Io, che sono la parte più riflessiva della coppia, all’inizio ero un po’ scettica anche perché aveva appena deciso di dedicarsi alla stalla. Poi mi sono convinta e devo dire che ci aveva visto giusto».
Fra poche settimane inizieranno i viaggi verso malga Ai Lach. Dopo sette mesi di chiusura occorrerà portare fuori panche e tavoli, dare aria, sistemare quello che gli agenti atmosferici possono aver intaccato, aprire le acque, verificare il funzionamento del generatore a gasolio che attiverà i frigoriferi e la macchina del caffè. La speranza è di poter partire con i primi fine settimana di giugno, ma bisognerà, come sempre, fare i conti col tempo. Lo stallone, la casera, una terrazza al chiuso e una all’aperto e i pascoli attorno sono il teatro in cui Michela, famiglia e collaboratori opereranno fino alla fine di settembre.
«Siamo molto soddisfatti di come sono andate le prime cinque stagioni – dice Michela – nel 2020 pensavamo che avremmo lavorato pochissimo e invece abbiamo avuto tanta gente. In media, in alta stagione, facciamo tra i 150 e i 200 coperti al giorno». Tiziano si occupa della stalla e della lavorazione del latte con un aiutante. Ci sono poi un cuoco e un’altra dipendente. «Io gestisco l’agriturismo – dice Michela – i primi anni facevo anche i dolci, ora raccolgo gli ordini, sto alla cassa e mi interfaccio continuamente con i clienti. Mi piace stare a contatto con la gente e mi sento portata per questo. È molto bello quando l’anno successivo vedi tornare le stesse facce, vuol dire che si sono trovati bene. A volte, in verità, ci vuole anche pazienza, ma fa parte del lavoro».
Il ricordo delle lunghe nuotate che faceva con il papà nell’Adriatico torna e con esso torna la voglia di mare mai sopita. Michela sa, però, che il suo orizzonte è ormai quello, convintamente quello, delle cime dolomitiche e dei tesori che esse racchiudono. «Le malghe sono una grandissima risorsa che non viene sufficientemente sfruttata e valorizzata – dice – sono luoghi spesso raggiungibili in maniera agevole e veloce e che consentono a tante persone di immergersi nella natura e di assaporare i gusti della tradizione. Noi facciamo tutto in casa e per le materie prime ci riforniamo presso aziende bellunesi. Credo che debba essere conservata l’identità di questi luoghi, che le malghe debbano conservare una certa dimensione e non tramutarsi in ristoranti raggiungibili in auto come si vede di là del confine».
A settembre-ottobre Michela e Tiziano scenderanno di nuovo a Carfón. Le scuole inizieranno e Samuele, Nicolò e Gabriele, dopo i mesi all’alpeggio, torneranno fra i banchi e fra i colori. Tiziano nella stalla e lei, Michela, durante la stagione invernale salirà a Caversón o in altri alberghi per fare la cameriera o sistemare le camere. Dovesse nevicare, non ci saranno problemi: lei sa mettere le catene.
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