Dalla Liga alla Lega, quella strana storia del Triveneto
E’ in libreria «Dalla Liga alla Lega, Storia, movimenti, protagonisti», con prefazione di Ilvo Diamanti, edizioni Marsilio. L’autore è Francesco Jori, editorialista dei quotidiani del Nordest del gruppo L’Espresso, Il libro ripercorre il cammino verso la Lega Nord che oggi si presenta come punto di riferimento dell’elettorato settentrionale, che è riuscita a sfondare anche sotto il Po, nelle classiche zone rosse, che è partner strategico nell’alleanza di governo di centrodestra. Per gentile concessione dell’editore, proponiamo la prefazione di Ilvo Diamanti

Ci sono quattro buone ragioni per leggere questo saggio dedicato da Francesco Jori alla Lega. Quattro aspetti che lo distinguono da altri, usciti da poco, complice il ritorno leghista sulla scena politica nazionale, oltre che nel Nord. Jori osserva la Lega da Nordest. Dal Veneto. Dove e quando si chiamava Liga veneta. Perché è un giornalista vero. Vive e viveva lì, era abituato - è sempre stato abituato - a vedere, a usare gli occhi, ma anche la testa. A leggere la realtà. A cercare di comprenderla e di farla comprendere. Per cui l’ha vista e raccontata da subito. Senza piegarsi alle mode e all’estetica del tempo. Un vizio che ha reso difficile capire quel che stava succedendo, fin dall’inizio. (...) All’inizio degli anni ottanta gli analisti e i giornalisti disposti a «prendere la Lega sul serio» erano pochi. Temevano di essere «presi» per leghisti. (...) La cultura e i media ufficiali si limitavano all’ironia. Anzi: al dileggio. Misto a disgusto.
(...) Non solo la rivendicazione antiromana, ma un retroterra indipendentista, alimentato dal mito veneziano, asburgico. Una domanda di autonomia rafforzata dalla vicinanza di altre esperienze autonomiste (le regioni a statuto speciale). Ma anche - soprattutto - dalla crescita e dallo sviluppo delle zone di piccola impresa, dal localismo policentrico di aree che conquistavano in fretta il successo economico, senza che se ne accorgesse quasi nessuno. Neppure i protagonisti, quelli che ci vivevano e lavoravano. Ancora: Jori coglie bene il ruolo svolto dalla Democrazia cristiana, attraverso la mediazione di Bisaglia e dei dorotei. Partito di rappresentanza degli interessi territoriali. Fra centro e periferia. Quando questa rappresentanza va in crisi, quando la periferia economica si sente centro e soffre di deficit di potere - nano politico e gigante economico - allora il filo fra il Veneto e Roma si spezza. E si spezza anche la Dc. Da lì la Liga e poi le altre leghe. Che cumulano diversi umori, diverse ragioni e diverse tradizioni. Ma emerge, irrompe quando la Dc, il partito di massa del Nord, non riesce più a fare il suo mestiere. A integrare le zone di piccola impresa e piccola proprietà. Nello Stato. Il libro di Jori illustra questo percorso, lo segue da vicino.
(...) La seconda ragione per cui consiglio la lettura di questo saggio è implicita nel titolo. È il punto di vista. Il Nordest, il Veneto. Tuttavia, l’importanza del luogo di osservazione emerge anche in «chiave» interna alla Lega stessa. Dove il Nordest continua ad apparire periferico. Quest’anno, infatti, alcuni hanno celebrato i 25 anni della Lega. Lo ha fatto la Lega stessa. Anche se la Liga è sorta prima: nel 1980. In questo modo, però, si è scelto di proiettare la biografia leghista in un solo scenario: la Lombardia. Come se la Lega Nord fosse figlia della Lega lombarda. Non è così. Riprendendo un’affermazione di Franco Rocchetta, che ne fu tra i leader originari: «La Liga è la madre di tutte le Leghe». Non è un problema di campanilismo.
Ma la stessa «rimozione» dell’esperienza veneta della Lega riproduce i motivi che ne hanno favorito l’esplosione. La perifericità rispetto ad altri centri: politici, economici, metropolitani. Prima Roma e Torino, metropoli della Fiat. Poi Milano, la Lombardia. La Lega lombarda, d’altronde, sorge dopo la Liga veneta. Però si impone, grazie alla leadership di Bossi. Che unifica tutte le leghe regionaliste. Artefici della protesta e dell’identità anticentralista nei primi anni ottanta. Difficili da coalizzare. Ciascuna gelosa della propria specificità e della propria autonomia. Bossi ne fa una sola Lega. Inventa il Nord come entità unitaria (la chiamerà «Padania»). Con un rischio, di non capire le vere ragioni che originano la Lega ma anche la cosiddetta «questione settentrionale». (...) La patria della Lega è fatta di città piccole e piccolissime. Riproduce l’impianto della rete urbana del Centro-Nord. Dove risiede una gran parte della popolazione. La Lega nasce lì e lì ritorna, lì resiste, nelle fasi di crisi. Dopo il 1996 e per 10 anni, prima di riprendere quota e di rilanciarsi definitivamente.
Jori guarda la Lega e il Nord leghista da Nordest. Dal Veneto. Così gli risulta più facile vedere - e descrivere e spiegare - cosa c’è dietro. Non è di quelli che si sorprendono ogni volta, a ogni voto, quando la Lega - dopo anni di eclissi - riappare e decolla di nuovo. Per la stessa ragione, però, non insegue il «pensiero-unico sulla Lega». Così, mentre tutti guardano Milano e la Lombardia, egli vede e fa vedere che il Veneto era e resta la regione dove la Lega è più forte, da sempre. Anche oggi.
La terza ragione di interesse di questo saggio è conseguente. Perché osservare il contesto veneto permette di delineare le basi del consenso leghista, ma anche di coglierne in anticipo la dinamica. Le trasformazioni. L’ultima, forse la più importante, è la duplice domanda: di sicurezza e di governo locale. Il modello sperimentato e imposto, da tempo, a Treviso, da Giancarlo Gentilini. Borgomastro e insieme sceriffo, che combatte l’invasione degli immigrati e della criminalità comune. Ai suoi occhi: due facce della stessa medaglia. Lo stesso modello espresso e imposto, di recente, da Tosi a Verona. D’altronde, il modello Gentilini oggi costituisce lo standard proposto dalla Lega in tutta Italia. La Lega d’ordine, la Lega della difesa dagli stranieri, la Lega che costruisce e interpreta il mito del nostro piccolo mondo locale come «fortezza inaccessibile».
L’ultima ragione di interesse offerta dal saggio scritto da Jori è che permette di interpretare e di comprendere meglio l’espansione dell’ultima fase, alle elezioni europee, dove la Lega ha sfondato la linea del Po. Ottenendo risultati significativi soprattutto nelle regioni dell’Italia centrale, tradizionalmente rosse, di sinistra. Le spiegazioni prevalenti fanno riferimento alla protesta contro un sistema di potere che dura da troppo tempo, e per questo logoro.
Richiamano, inoltre, la coerenza della Lega con il vecchio partito di massa, il Pci. Partito di appartenenza, la Lega. Fatto di militanti, presente sul territorio. La Lega, cioè, è una risposta alla dissoluzione del Pci nel Pd. Che si sta rivelando un partito senza identità e poco presente, poco visibile nella società e sul territorio. La Lega, più del Pd, rammenta nel modo di stare nella società il vecchio Pci. Inoltre, la Lega d’ordine, ispirata da Gentilini e Tosi, offre sicurezza locale contro l’incertezza sociale prodotta dalla globalizzazione. Il cui volto si riflette in quello degli immigrati. È la «Lega degli uomini spaventati», che raccoglie e amplifica le paure. Innescando un circolo infinito.
Infine, se osserviamo i «contesti» dove si sviluppa la Lega nelle zone rosse, rivediamo il modello genetico del Nordest e del Veneto. Aree di piccola e piccolissima impresa manifatturiera, con un’elevata densità di lavoratori autonomi e dipendenti. Disseminate di piccoli centri urbani. La Lega è il canale che permette a queste aree di esprimere meglio domande, rivendicazioni e paure. Soprattutto quando i cambiamenti avvengono in modo violento e alimentano un forte senso di vulnerabilità sociale.
(...) Guardare la Lega da Nordest permette a Jori di porsi in un luogo di osservazione privilegiato e anticipatore. Visto che la Lega potrebbe, l’anno prossimo, governare proprio il Veneto, come rivendica ormai da tempo. E allora, in quel momento, probabilmente, comincerebbe una fase nuova. Coerente con le minacce di un tempo. Quando parlava di federalismo e di indipendenza, ma immaginava anzi rivendicava la secessione. Oggi non ne parla più. Non ne ha bisogno.
A Roma agisce come lobby del Nord. A Nord, invece, intende sperimentare l’autonomia attraverso il governo del Veneto. Milano a Roma. E il Veneto come laboratorio dell’autonomia del Nord.
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