Dalla montagna alla pianura: storie di pastori transumanti

Sono rimasti in sei in provincia di Belluno a fare questo lavoro faticoso e difficile:  «Serve passione, anche se stando sempre in giro puoi conoscere tante persone»

BELLUNO

Sono rimasti sei i pastori transumanti in provincia di Belluno. Lavoro in via di estinzione che potrebbe trovare nuovo slancio dopo il riconoscimento da parte dell’Unesco della transumanza come patrimonio dell’umanità. La vita del pastore, che passa 365 giorni all’anno in giro tra monti e pianura con il suo gregge, è molto difficile e faticosa. Per farla non serve solo la spinta del guadagno, ma una passione vera condita con una buona dose di sacrificio. Tutti ingredienti non facili da trovare.

Ne sa qualcosa Luigi Balzan di Trichiana, Borgo Valbelluna. La sua è un’esperienza sui generis: 18 anni fa ha deciso di lasciare un lavoro all’Ideal Standard per dedicarsi alla pastorizia. Luigi ha 52 anni e per 15 anni, percorrendo circa 450 chilometri ogni anno su e giù tra monti e pianure, si è occupato delle sue pecore. Poi un problema di salute lo ha costretto a vendere gran parte dei suoi animali. «Fino a due anni fa gestivo 1.300 pecore da carne razza biellese che portavo dalle montagne in estate alla pianura in inverno, facendo a gara con i colleghi trentini nell’accaparrarmi i prati migliori prima di loro», dice Balzan che questa sera alle 20.30 nella sala San Felice di Trichiana racconterà la sua storia durante un incontro pubblico organizzato dall’associazione socio culturale Le Fregole dal titolo “Transumanza a 360°”.

Balzan spiega che anche in questo mestiere ci sono delle regole, dei trucchi che ti aiutano a cavartela meglio. «In certi posti devi passare all’alba altrimenti le amministrazioni ti fanno problemi, poi bisogna far partorire le pecore in autunno per evitare malattie agli agnelli durante l’estate». Insomma, come si dice, gli incerti del mestiere sono sempre in agguato. Luigi, con le sue pecore, ha battuto per tre lustri il San Boldo, il Col Visentin, arrivando fino in provincia di Treviso per l’inverno. E sempre portandosi dietro un carrello con dentro il filo elettrificato con cui realizzare il recinto dove riparare il gregge durante la notte. «Io ho dormito sopra il carrello per tanti anni. Diciamo che in un mondo in cui tutto va veloce, fare il pastore ti fa riscoprire il ritmo ormai sconosciuto della lentezza».

Si sbaglia chi crede che questa professione sia diversa dalle altre: anche qui c’è la concorrenza di Cechia e Ungheria, e anche qui si fatica a trovare il personale. «Ho sempre lavorato con rumeni, avevo anche due bellunesi, ma se ne sono andati. Adesso stanno venendo avanti anche gli africani. Il turn over è molto forte. È un mestiere duro che ti fa conoscere, però, tante persone: lungo il percorso la gente ti avvicina, ti chiede informazioni. E così si creano nel tempo anche tante belle amicizie».

Ma il pastore transumante è prima di tutto un lavoro che si tramanda di generazione in generazione, come per la famiglia Dal Molin di Feltre. «Mio nonno faceva il pastore, poi mio papà e ora io e i miei due fratelli e ognuno di noi ha un suo gregge», racconta anche Guglielmo Dal Molin, 41 anni di cui più di 20 dedicati alle pecore. «La vita non è semplice, la giovinezza se ne va così, di certo non facciamo quello che fanno gli altri giovani alla nostra età. Ma questo non ci impedisce ugualmente di divertirci, di farci una famiglia», dice Guglielmo che è sposato e ha tre figli. «Non so se faranno i pastori come me», dichiara, «ma non importa, non voglio imporre nulla: devono seguire la loro strada, devono studiare. Quando posso e soprattutto quando i loro impegni lo permettono, chiedo loro di darmi una mano», dice l’allevatore che spiega come uno degli appellativi del pastore sia “ladro di prati”. «Certo non tutti ci vedono di buon occhio, ma questo è un mestiere che ti insegna a capire le persone che ti stanno davanti, a quindi comportanti di conseguenza».

L’allevatore feltrino è però la dimostrazione di come anche questa antica professione abbia subito dei cambiamenti. «Mi muovo molto in auto, ogni giorno faccia la spola dal luogo dove sono le pecore a casa mia e questo mi permette di poter rientrare a casa la notte, salvo imprevisti. Inoltre, ad essere richieste dal mercato non sono le pecore, ma soprattutto gli agnelloni, agnelli di un anno di 40-50 chili che vanno a clienti che poi li rivendono in varie parti d’Italia tra cui l’Abruzzo dove si trasformano in arrosticini. E poi c’è il mercato dei musulmani che utilizzano le pecore per i loro riti religiosi». —


 

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