D’Alpaos: «È per convenzione che il Piave nasce a Sappada»

L’illustre studioso interviene nel dibattito sulle sorgenti del fiume sacro alla Patria

SANTO STEFANO. «Noi vi abbiamo dato Sappada, ma le sorgenti del nostro fiume Piave le rivogliamo indietro».. Così disse, nell’agosto di un anno fa, il governatore Luca Zaia agli alpini friulani, arrivati a Godega Sant’Urbano per festeggiare i loro commilitoni trevigiani. Zaia resta di questa idea. E l’assessore regionale all’ambiente, Gianpaolo Bottacin, conferma: «Sulle sorgenti del Piave ho creato un tavolo di ricerca, ancora due anni fa, con due docenti universitari, uno storico e l’altro idraulico, e una ricercatrice. Tavolo presieduto dal professor Luigi D’Alpaos per valutare quali siano le vere sorgenti».

Il problema si pone perché Sappada, nel dicembre 2017, è traslocata . D’Alpaos, che conosce la zona delle sorgenti come le proprie tasche, non ha dubbi: «È per convenzione che le sorgenti si stabilirono in comune di Sappada, anziché in quello di Santo Stefano, che arriva fin sotto il Peralba», afferma, «e solo perché il tratto di fiume per la Val Sesis era il più ricco di acque. Ma ad avviso di tanti studiosi, a contare dev’essere l’ampiezza della superficie drenata e questa è senza dubbio la Val Visdende».

Alle spalle del rifugio Sorgenti del Piave, che di fatto custodisce le attuali sorgenti del fiume, vi è un’ampia palude, con numerose sorgenti che attingono dal nevaio del Peralba; una parte dell’acqua s’incanala dalla parte opposta della Val Sesis, quindi verso la Val Visdende, e qui si forma un torrente che è stato chiamato Cordevole.

«Ma», ricorda D’Alpaos, «la documentazione storiografica lo indica come “il Piave della Val Visdende”».

Secondo lo studioso, già docente di ingegneria idraulica all’Università di Padova, «è solo per motivi politici che si decise altrimenti».

Quindi? «Il presidente Zaia farebbe bene a rivendicare per il Veneto la paternità di quelle sorgenti». La storia, si diceva. La prima guerra mondiale ha scritto pagine epiche sul Piave, divenuto, di conseguenza, “il fiume sacro alla patria”. Negli anni Trenta scoppiò una disputa tra i comuni di San Pietro e Sappada per fissare quale fosse la “vera sorgente del Piave”. E fu un collega di D’Alpaos, non coetaneo evidentemente, a risolvere la querelle nel 1936. «Il nome di Piave dato al fiume certamente in epoca preromana, pure da tempo remoto si dà al rio», sentenziò il geografo Arrigo Lorenzi, anche lui dell’ateneo patavino, incaricato dal Cnr, «che incomincia sul ripiano di Sesis e passa per Sappada, tradizione confermata da una documentazione copiosa, inoppugnabile e che non contrasta con le interpretazioni e criteri della geografia fisica nella scelta del fiume principale». È la cartografia scientifica ottocentesca che comincia ad usare il nome di Piave anche per il ramo di Visdende. La spiegazione – secondo taluni studiosi – è da ricercarsi sul piano puramente linguistico: il termine piài, nel dialetto comelicano, pur derivando dal nome del fiume, ha assunto un senso antonomastico, indicando ogni corso d’acqua di una certa portata. D’Alpaos, però, obietta che proprio sul piano morfologico-idrografico trovano sostanza le tesi del Piave della Valvisdende. Ma, dall’altro ieri, con l’acquisizione da parte del Friuli della documentazione sul demanio idrico, la partita sembra conclusa. Invece no, a sentire D’Alpaos. Perché, appunto, le sorgenti sono più d’una. —
 

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