Danilo Calonego libero «Rapiti per errore»

Il tecnico del Peron era stato preso a Ghat il 19 settembre da uomini armati Rilasciato venerdì in tarda serata, è tornato a Peron di Sedico nella notte
Di Alessia Forzin

SEDICO. I fiocchi tricolore addobbano le terrazze e le ringhiere in via Casate, a Peron di Sedico. Danilo Calonego è libero. Il rilascio è avvenuto nella tarda serata di venerdì. Il tecnico del Peron era stato rapito il 19 settembre, insieme al cuneese Bruno Cacace e all’italo-canadese Frank Boccia, in Libia, dove si trovava per lavoro. Sono tutti e tre tecnici della Con.i.Cos, azienda di Mondovì che ha condotto i lavori di manutenzione alla pista dell’aeroporto di Ghat.

Sono stati liberati a 300 chilometri dalla cittadina libica, non lontano dal punto in cui era avvenuto il sequestro, grazie all’efficace collaborazione fra le forze di sicurezza italiane e le autorità locali libiche, e all’alba di ieri mattina erano già a Roma. Per oltre sei ore sono stati ascoltati nella caserma del comando dei carabinieri del Ros dal pm della Procura di Roma, Sergio Colaiocco, che procede per sequestro a fini terroristici.

I tre hanno raccontato di non aver subito violenze durante i 47 giorni di prigionia. Sono sempre rimasti insieme, nelle mani di una banda di criminali comuni, che non aveva matrice religiosa: «I nostri rapitori non erano jiahadisti, bevevano alcol e non pregavano. Non abbiamo subito violenze e, anzi, possiamo dire di essere stati trattati bene. Ci hanno sempre dato acqua e cibo». I due italiani sono in buone condizioni di salute. La barba è lunga, ma i volti sono rilassati e sereni.

Gli ex ostaggi ipotizzano anche di essere stati «sequestrati per errore»: è probabile che i malviventi che li hanno fermati, la mattina del 19 settembre, volessero solo rapinarli, ma che il tentativo sia finito male. Quel giorno, infatti, era prevista la consegna finale dei lavori all’aeroporto di Ghat da parte della Con.i.Cos. A quanto raccontato da Calonego, Cacace e Boccia, la banda pensava che nell’auto sulla quale viaggiavano gli italiani e il collega italo-canadese ci fosse in realtà un manager libico con in tasca il denaro per pagare l’ultimo stralcio dei lavori. I tre tecnici avrebbero sentito gli uomini armati dire: «Ma non è lui».

Fallito il colpo, la banda ha sequestrato i tre tecnici. Nelle prime quattro notti sono stati trasferiti sempre in nascondigli diversi, elemento questo che fa pensare che il sequestro non fosse stato pianificato. A partire dalla quinta notte, gli ostaggi sono stati tenuti in una casa, nella quale venivano dati loro con regolarità cibo e acqua, «anche tre volte al giorno».

I tre tecnici hanno lasciato la caserma del Ros alle 15.45. Bruno Cacace è rientrato a casa, a Borgo San Dalmazzo (Cuneo) nella serata di ieri, Danilo Calonego è arrivato nella notte a Peron. Personale dello Stato lo ha accompagnato in aereo fino a Venezia, dov’è sbarcato alle 22.35. Le figlie lo hanno riportato al Peron, dove una pattuglia dei carabinieri ha fatto un giro di cortesia per verificare che tutto fosse a posto, anche se il ritorno di Calonego non destava alcuna preoccupazione.

Secondo il giornale libico online Lybia Herald, il rilascio dei tre ostaggi sarebbe avvenuto nelle vicinanze del confine con l’Algeria a seguito del raggiungimento di un accordo con i rapitori. Dalle dichiarazioni fatte da un esponente del consiglio comunale di Ghat, pare sia stato pagato un riscatto, ma non si sa a quanto ammonti. Nelle scorse settimane fonti algerine (il sito Middle East Eye) avevano parlato di una richiesta di 4 milioni di dollari fatta dai rapitori.

La notizia del rilascio è arrivata ieri mattina presto in Italia. La Farnesina ha immediatamente avvertito le famiglie degli ex ostaggi, ma l’unica ad aver parlato con Danilo Calonego è stata la moglie marocchina Malika. «Mi ha chiesto subito come stavano la madre, che è molto anziana e malata, e le sue figlie. Non ha detto nulla del rapimento», ha raccontato la donna. Il contatto telefonico è stato breve, perché Calonego era atteso nella caserma dei carabinieri per raccontare quello che ha vissuto a partire dal 19 settembre.

Nel frattempo la Farnesina ha avvertito una delle sue figlie, Pamela, della liberazione. Rapido giro di telefonate e alle 9 tutte le donne di casa Calonego erano nell’appartamento di via Casate. «Non abbiamo mai perso la speranza, sappiamo che la Farnesina è abituata a lavorare in silenzio e senza proclami e abbiamo solo aspettato», sono le prime parole delle figlie Simona e Pamela. «Finalmente è una bella giornata per noi. Aspettiamo che papà torni a casa per fare una bella festa».

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