Danni alle colture dalla fauna selvatica: «Pochi risarcimenti»
SEDICO. Cervi, cinghiali, picchi e ora anche lupi e orsi. Chi più ne ha più ne metta. La fauna selvatica della provincia di Belluno si sta ripopolando e sta mettendo a dura prova la pazienza degli agricoltori bellunesi.
Che assieme ai cacciatori erano presenti in molti all’incontro organizzato ieri mattina a villa Patt dalle tre sigle sindacali del settore (Cia, Confagricoltura e Coldiretti) per confrontarsi con la Regione sulle strategie da adottare per rendere la convivenza meno faticosa e meno dispendiosa possibile per tutti in termini di energie, tempo e soprattutto soldi. Perché se i cinghiali arano letteralmente campi e pascoli, o se i cervi brucano sui prati da sfalcio, o se ancora i lupi e gli orsi fanno abbuffata di pecore, i risarcimenti sono minimi e concessi soltanto a chi ha già fatto la dovuta «azione preventiva, per cui Venezia rimborsa il 90% dell’intervento». La Regione, inoltre, risarcisce il 100% dei danni causati da lupi e orsi, mentre solo in parte quelli provocati dagli ungulati.
Impossibile stare calmi per chi negli ultimi anni ha speso migliaia di euro per fare fronte a questo problema, ormai fuori controllo. Anche perché i cacciatori poco posso fare, visto che «il piano di abbattimento non è stato raggiunto dato che la Provincia ha introdotto l’Ispra e visto che chi non conosce a fondo la carta identità dell’animale rischia di incorrere in sanzioni», sbotta Eugenio Garlet, presidente della coop feltrina La Fiorita ma anche cacciatore, «questo sistema andrebbe migliorato per dare più spazio agli abbattimenti. I produttori vanno sostenuti anche così, visto che sono gli unici che preservano il territorio».
Il presidente di Confagricoltura Belluno Diego Donazzolo tuona: «L’agricoltura sta subendo danni enormi da anni e ormai non siamo più capaci di contenere il fenomeno. Anche per questo siamo arrivati allo scontro di categoria. Ma ora più che mai è indispensabile confrontarci e collaborare fra cacciatori e agricoltori, visto il cambiamento ambientale epocale».
Rincara Giorgio De Lucchi della Regione, presa di mira in più interventi per non fornire i doverosi aiuti: «Speriamo che le strutture regionali tornino a collaborare in maniera più fattiva. Entro brevissimo tempo infatti dovrebbero arrivare le risorse per il 2015 e il primo semestre 2016». L’interpellanza è doverosa: con la legge Delrio le materie caccia e pesca sono tornate sotto l’egida di palazzo Balbi. Le rimostranze non si fanno certo attendere: «Seminiamo per dare da mangiare agli animali dello Stato», denuncia Filippo Maccagnan, agricoltore con 30 ettari a Celarda di Feltre, «non possiamo andare avanti a pagare i semi e a non raccogliere niente. Per chi stiamo lavorando?».
«La Regione dovrebbe ridarci l’autonomia e quindi la gestione della caccia», esclama Sandro Pelli dell’associazione Cacciatori bellunesi. Alberto Agostini, allevatore di Colle Santa Lucia, denuncia i «danni incalcolabili che i cervi stanno provocando sul foraggio, visto che gli escrementi raccolti con il fieno diminuiscono la fertilità delle vacche». Stefano Velina è sceso da Cortina per dirsi «disperato. Ho 50 ettari per 25 UVA per 6 mesi, da una settimana sto trinciando i prati ma i cervi si sono già mangiati il buono e mi hanno lasciato quasi solo il colchico, che è velenoso per le mie vacche. Come si può andare avanti così? I forestali dicono di non tagliare troppo bosco, ma il sotto è talmente fitto che per terra non si riesce nemmeno più a mangiare. Se non si cambia modo di pensare gli allevatori saranno costretti a cambiare terra».
«Ciò che non hanno fatto le granate della Guerra lo fanno i cinghiali», si accoda Oliva Da Rui per il basso Feltrino».
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