De Candido, tutta una vita passata tra api e miele doc

Francesca Valente
SANTO STEFANO DI CADORE
La cura e l’amore per il proprio territorio fanno parte della genetica dei custodi, anche saltando una generazione. Lo dimostra il 43enne Lorenzo De Candido, che l’attaccamento al Bellunese lo ha preso da papà Gianluigi, “razza pura” di Santo Stefano, impegnato per anni nel ripristino e nella riappropriazione di molte porzioni di bosco e terreni, facendo però di mestiere anche il cuoco e il cameriere, in certi periodi perfino in Africa. La passione per l’apicoltura invece, quella che ne ha fatto un vero e proprio imprenditore agricolo, deriva tutta dal nonno Onorio, che allevava api mentre coltivava assieme a collaboratori e fattori 120 ettari di terra in Basilicata, dove aveva impiantato la sua azienda, tuttora funzionante anche se con altre dimensioni. Così, se l’infanzia è trascorsa un po’ qui e un po’ lì, le radici di Lorenzo sono saldamente in Comelico.
Quando ha iniziato ad allevare api?
«A livello hobbistico attorno ai 19 anni, quando è nata la mia prima figlia Tatiana. Ho lavorato per 16 anni come falegname ma da oltre 20 anni faccio l’apicoltore a tempo pieno e nei periodi di stop dò una mano a un rifugio sul monte Elmo. La mia azienda agricola è nata nel 2000 e in questo intervallo ho cambiato quattro laboratori di trasformazione. Oggi conto circa 200 arnie prevalentemente nomadi, ma ora vorrei iniziare a essere più stanziale, anche se non potrò diventarlo mai del tutto perché il mio areale non offre tutte le tipologie di miele, come l’acacia o il castagno; perciò sempre destinato a muovermi, almeno in minima parte. La scelta deriva da due conti che mi sono fatto, ma anche dai mal di schiena e dalla stanchezza che inizio a mal sopportare».
Lavora da solo?
«Mi aiuta Daniela Cesco Rosso, mia compagna di sempre, che seppur allergica al veleno delle api mi accompagna in questa avventura sempre con grande entusiasmo. Lei come tante apicoltrici vive con estrema dedizione questo lavoro, nonostante i rischi per la sua salute. Daniela lavora prevalentemente in laboratorio, ma quando arriva il periodo di nomadismo mi accompagna e stiamo fuori anche tre, quattro giorni di fila. Ogni tanto ci danno una mano anche le nostre figlie Tatiana, di 26 anni, che però fa la sarta e stava per aprire la sua bottega qui in Comelico prima dell’esplosione dell’emergenza Coronavirus, e Asia di 20 anni».
In cosa si distingue il vostro allevamento?
«La nostra è una linea rustica non pastorizzata basata sulla genetica, in modo che le api sappiano resistere in montagna e nutrirsi di quanto offre. Anche per questo il miele è grezzo e, per natura, tende a cristallizzare. Il settore sta crescendo molto anche nel Bellunese e ci stiamo orientando su un’unica linea, anche in condivisione con altri apicoltori».
Quando ha conosciuto il progetto DDolomiti?
«Poco dopo la tempesta Vaia, quindi quasi due anni fa, quando aveva lanciato lo slogan “compra bellunese” rilanciando tramite i suoi canali le disponibilità alla vendita di alcune aziende locali, come la nostra. Noi però non siamo entrati a farne parte subito perché eravamo presi con la bonifica del disastro che si era consumato qui. Ho visto la prima edizione online della guida dei “Custodi del territorio” e l’ho trovata subito una bella iniziativa, lo seguo da allora».
Quindi lei si definisce un custode? Perché?
«Perché credo in questo territorio, mi piace vivere qui perché è pulito e, grazie all’assenza di agricoltura intensiva, è anche sano, al contrario di quel che stanno cercando di fare in Valbelluna. Riuscire a fare qualcosa potendo stare all’aria aperta e al contempo poterci vivere è un sogno. Ma è anche un’utopia, perché l’agricoltura è dura, servono i mezzi e grande forza di volontà. Le stagioni sono più corte che altrove e bisogna sempre far capire alla gente che stai dando qualcosa di più, il che giustifica i prezzi diversi. E non è sempre facile, credetemi».
Come mette in pratica questa filosofia?
«Sto sistemando un terreno di mio padre cercando di ripianarlo attraverso delle mensole, ho ripristinato altri lotti tagliando il bosco e riprendendo in mano appezzamenti abbandonati da 60 anni. In un altro terreno dove c’è l’allevamento delle regine, in località Levante, abbiamo allestito un piccolo rustico dove è possibile appoggiarsi. La cosa bella è vedere che di recente, proprio qui in Comelico, c’è stata una ripresa del settore agricolo, soprattutto dell’allevamento, e con tanti giovani. Siamo tutti amici e stiamo cercando di mettere su un marchio, che nelle intenzioni si chiamerà “Val Comelico chilometro zero”».
Riemerge il bisogno di fare rete e di aiutarsi, in un contesto dove aiuti ce ne sono, ma non sempre rispondenti ai complessi bisogni di un territorio montano, periferico e legato alle sue peculiarità. –
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Riproduzione riservata © Corriere delle Alpi