«Dietro il “Museum” di Palafavera non ci sono i russi»

Il presidente dei Colonelli: «Ho ricevuto minacce anonime per il progetto turistico, ma deciderà il mio successore»
Di Mario Agostini

ZOLDO ALTO. «Il nostro obiettivo era stimolare i residenti circa il futuro del paese. Ora ci fermiamo: sarà il nuovo consiglio direttivo a portare avanti il progetto di rivitalizzazione». Parole del presidente del Consorzio Colonelli, Guglielmo Monego, durante l’ultima assemblea con tutti i “comproprietari universi”. «Abbiamo convocato questo incontro», dice assieme al segretario Nazario Dal Mas, «per fugare i malumori che si erano generati durante l’estate in merito al progetto “Dolomiti Open Museum”. Vogliamo chiarire i fraintendimenti in merito alle spese sostenute per il progetto».

Un progetto che prevede una colata di cemento per 54 mila metri cubi a Palafavera, un’area di enorme pregio, posta a cerniera tra lo Zoldano, l’Agordino e il Cadore, ai piedi di Pelmo e Civetta: «Non neghiamo che il progetto non abbia riscontrato grandi consensi fra la gente, molti erano convinti che tutto fosse già deciso, invece la bozza era stata pensata per stimolare la popolazione a darsi da fare per portare avanti idee per lo sviluppo turistico dell’area. Per quel che ci riguarda, noi ci fermiamo qui: il mandato del consiglio è in scadenza e sarà la nuova amministrazione a riprendere il discorso».

L’assemblea è iniziata con il presidente Monego che ha subito voluto chiarire quanto è stato fatto in merito al progetto “Dolomiti open museum”. «L’idea del progetto», spiega, «è nata dalla necessità di portare avanti uno sviluppo turistico di Zoldo, per aiutare le famiglie a stare a Zoldo e per non fare scappare i giovani. Qualcosa di alternativo allo sci in picchiata libera. Il 21 dicembre 2014 era stata stanziata la somma di 20 mila euro per il progetto del “Domus”. Ad agosto c’era stata la mostra a Mareson: tanta gente, ma poco entusiasmo da parte dei locali. Solo lamentele e anche una lettera minatoria anonima. A chi ci attaccava dicendo che avevamo contattato acquirenti russi, avevo fatto subito presente che non era stato venduto alcunché, anche perché tocca all’assemblea decidere il da farsi».

Il dibattito che segue alle parole di Monego è abbastanza acceso. Tullio Martini mette in guardia su un possibile passo avanti del progetto, che definisce una cattedrale nel deserto. «È necessario poter fare qualcosa di alternativo», sottolinea Martini, «basterebbe un hotel con annesse delle sale per il sociale. Così si combatte lo spolamento della valle». C’è chi propone come altrenativa la realizzazione di alcune villette, altri parlano di un albergo centrale con un bel centro benessere e la possibilità di aprire esercizi commerciali. Fra una risposta e l’altra, Monego mette in risalto come il suo obiettivo fosse stato centrato: «Noi volevamo questo, svegliare la gente e avviare un dialogo sul futuro della nostra valle». Poi lancia una provocazione: «Siamo già morti, se non ci mettiamo subito al lavoro per il nostro futuro».

Adesso che scade il mandato, i rappresentanti di frazione (due per frazione ) di Fusine, Pecol, Soramaè, Pianaz, Mareson e Coi dovranno eleggere il nuovo presidente del Consorzio Colonelli. Toccherà al nuovo consiglio riprendere in mano questa patata bollente.

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