Difese i morti e i vivi della tragedia “perchè su di loro non cada la pietà”

Fu uno dei molti che venne contagiato dall’immane disastro come da una malattia curabile solo con l’impegno a rendere giustizia 

IL RICORDO

TONI SIRENA

Sandro Canestrini fu uno degli avvocati di parte civile che difesero i superstiti del Vajont al processo che si svolse all’Aquila, dove era stato spostato da Belluno per “legittima suspicione”, tra il 1969 e il 1971.

Quegli avvocati lavorarono gratuitamente, per obbedire alla propria coscienza civile e politica. Meritavano almeno questo i superstiti (pochi) che non avevano accettato di ritirare la costituzione di parte civile in cambio di pochi soldi, maledetti ma subito, messi a disposizione - non si sa perché - dall’Enel e che si sobbarcavano i viaggi, all’epoca lunghi, faticosi e costosi, da Erto e Longarone fino all’Aquila.

La sua arringa divenne poi un libro, ancora essenziale per capire “il Vajont”, stampato nel dicembre del 1969, ristampato nel 2003.

Canestrini lo dedicò «a tutti i morti e i vivi del Vajont, perché su di loro non cada la pietà». Quella pietà falsa, s’intende, che per molti anni si volle stendere come un velo con lacrime e con discorsi d’occasione, per coprire responsabilità economiche e politiche prima ancora che personali. Quella vicenda giudiziaria, conclusasi in Cassazione alla vigilia della prescrizione, stabilì che il disastro del Vajont era prevedibile. Anche se le condanne furono poche e miti le pene.

Certo, le responsabilità in sede penale sono sempre personali. Ma quell’evento non può essere spiegato solo così. Perciò, scriveva nel 1969 Carlo Bertorelle nella prefazione al libro, «quest’arringa, che è insieme un comizio, una lucida e mordente documentazione, una denuncia e una meditazione filosofica, dice che cos’è la società italiana e perché la politica oggi è un dovere».

“Vajont, genocidio di poveri”, s’intitola quel libro. A quei “poveri”, vivi e morti, l’avvocato aveva scelto di dare voce, schiacciati da un sistema di cui gli imputati erano solo gli anelli più deboli di una catena.

Canestrini era tra i molti che, accostandosi a quella tragedia, ne sono rimasti contagiati come da una malattia, curabile solo con l’impegno a rendere giustizia e verità. —





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