Diffamò due paesane sui social «È capace di stare a processo»
SAN NICOLò. Non è socialmente pericolosa. Ma quando avrebbe diffamato due paesane di San Nicolò Comelico su Facebook e WhatsApp la sua capacità d’intendere e volere era gravemente scemata. Ad ogni modo, secondo lo psichiatra Franceschini, Deborah Ianese è in grado di partecipare al processo. La perizia era stata richiesta dal suo difensore Andrea Rui e il risultato sarà utilizzato nella discussione finale, che il giudice Angela Feletto ha già fissato per il mese di febbraio.
Nel 2016, tutto era cominciato con un post pubblicato su Facebook, che era stato letto da un amico e riferito alla più giovane: da quel momento, una sofferenza lunga un anno, che ha raggiunto il culmine con la chiusura del locale che le due donne gestivano in paese e con il ricovero in ospedale della più anziana, talmente provata per questa vicenda da aver perso molti chili. In aula è stato detto che «le stava bene il pigiama di una bambina di 10 anni». L’una era accusata di essere l’amante di suo padre sindaco e doveva smetterla di «fare bordello sotto casa». L’altra di essere «una ninfomane come la madre».
Il bar era stato condotto grazie alla vittoria di un regolare bando di concorso: «Sei anni più altri sei, ma Ianese sosteneva che ce l’eravamo aggiudicate, grazie a un complotto. Favori sessuali nei confronti dello stesso primo cittadino», con il quale «si sarebbe sniffata cocaina».
Messaggi su Facebook, ma anche audio e video su WhatsApp, nei quali compariva chiaramente l’imputata. Come era riuscita ad avere il numero di telefono? Il recapito era il cellulare in uso al bar. Nessuno sforzo per averlo.
A proposito, nel locale di un paese così piccolo si parlava spesso di queste illazioni. Magari nessuno ci credeva davvero, ma il clima si era fatto pesante lo stesso. Meglio chiudere. Quando la madre di famiglia è stata ricoverata, le è capitato di vedere la Ianese nell’atto di mostrarle il pugno o di farle il gesto del taglio della gola. Questo l’ha confermato l’altra figlia che partecipava alla gestione del bar, ma non è mai stata direttamente coinvolta in diffamazione e atti persecutori. —
Gigi Sosso
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