Diminuiscono i salari dei bellunesi «Colpa della precarizzazione del lavoro»

Nel 2018 la retribuzione lorda annua dei lavoratori dipendenti è pari a 28.722 euro, penultimo posto in Veneto



Cala, seppur di poco, la retribuzione annua dei lavoratori dipendenti nel 2018 in provincia di Belluno.

A dirlo è la nuova edizione del Geography Index dell’Osservatorio JobPricing che ha pubblicato il report, raffrontando i dati del 2018 con quelli dell’anno precedente.

I motivi della flessione, secondo i sindacati, vanno ricercati nella sempre maggiore precarizzazione del lavoro, nei troppi contratti a tempo di determinato o somministrati e nella stagionalità degli impieghi legati al turismo.

La flessione del Veneto

In Veneto tutte le province scendono di diverse posizioni nella classifica generale, mentre a livello nazionale a rimanere ben salda in vetta è la provincia di Milano, dove la retribuzione annua lorda (Ral) è pari a 34.302 euro (era 34.330 euro nel 2017), seguita da Monza Brianza e da Bolzano.

Per trovare la prima provincia veneta bisogna scendere al 12° posto della classifica occupato da Verona con 30.375 euro (quattro posti in meno rispetto al 2017).

Al 19° c’è Vicenza con una Ral di 29.874 (-7 posti); Treviso è 35ª con 29.036 euro (e 8 posizioni in meno rispetto al 2017 quando la Ral era pari a 29.289); al 36° posto c’è Rovigo (28.810 euro), al 37° Padova (con 28.793) e al 38° posto il Bellunese, con una retribuzione annuale lorda pari a 28.722 euro (rispetto al 2017 due postazioni e 17 euro in meno).

A chiudere la classifica c’è Venezia, scesa al 39° posto con una Ral di 28.691 euro (e quattro postazioni in meno).

troppi precari

«Dovevamo aspettarcelo, visti i segnali che arrivavano», commentano Rudy Roffarè, segretario aggiunto della Cisl, e Mauro De Carli della Cgil, «questo è il risultato della precarizzazione del lavoro».

«Dobbiamo considerare alcuni fattori», prosegue Roffarè, «tra questi il fatto che il Bellunese ha i redditi tra i più bassi del Veneto, perchè le grandi aziende hanno un basso conflitto sociale e un’alta produttività.

Come sindacati, per contrastare questa tendenza abbiamo lavorato per portare avanti la contrattazione aziendale.

Purtroppo, però, molto spesso nelle piccole e medie imprese la contrattazione avviene singolarmente e più uno ha una qualifica elevata, maggiore probabilità ha di strappare condizioni migliori».

Per Cisl e Cgil, inoltre, «la diminuzione delle retribuzioni è il frutto di una precarizzazione del lavoro che è sempre più a tempo determinato o somministrato e quindi avulso da scatti di anzianità e altri istituti che mirano ad aumentare gli stipendi.

Nel nostro territorio, poi, dobbiamo fare i conti con il turismo e quindi con un lavoro stagionale che porta a svolgere meno di 40 ore settimanali».

Per il segretario aggiunto della Cisl, di fronte a questo scenario, «diventa sempre più impellente rilanciare la contrattazione aziendale e nazionale e cercare di aumentare il numero di contratti a tempo indeterminato.

Il nostro compito è far capire alle imprese che, in tempi di crisi, se si aumentano le performance crescono le entrate e anche i redditi dei dipendenti.

Se si applicano queste azioni, allora le retribuzioni potranno pian piano salire». —



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