Dipendente Acli indagata per peculato dalla magistratura

I carabinieri hanno scoperto un cospicuo ammanco e nelle ore scorse hanno consegnato l’avviso di garanzia

BELLUNO. Peculato. È la pesante accusa che la procura della Repubblica contesta ad una dipendente dell’Acli della provincia di Belluno per un cospicuo ammanco di soldi in contanti. L’indagine, condotta nel riserbo più stretto dai carabinieri, ha avuto la classica svolta nelle scorse ore con la consegna dell’avviso di garanzia all’indagata.

Poche le notizie filtrate sull’inchiesta, coordinata dal sostituto procuratore Antonio Bianco. Contestualmente alla notifica dell’avviso di garanzia, i militari dell’Arma hanno perquisito l’abitazione della donna indagata. La vicenda, sulla quale vige ancora la massima discrezione, si sarebbe protratta nel corso degli ultimi mesi ed avrebbe fruttato un sostanzioso gruzzolo. I beni, infatti, di cui la donna si sarebbe appropriata consisterebbero esclusivamente in denaro in contanti. La tecnica usata per mettere a segno il reato è ancora top secret. Si ipotizza, visto che si tratterebbe di un cospicuo ammanco di soldi, che per far quadrare i conti nel tempo possano essere stati truccati i libri contabili.

Un trucco, però, non destinato a durare a lungo. La segnalazione agli inquirenti dei presunti ammanchi sarebbe arrivata dopo un’attenta verifica dei conti. La dipendente dell’Acli è ora indagata a piede libero con l’ipotesi di accusa di peculato. Un reato che il codice penale punisce pesantemente. L’articolo 314 del codice penale recita testualmente: “Il pubblico ufficiale o l’incaricato di pubblico servizio, che, avendo per ragione del suo ufficio o servizio il possesso o comunque la disponibilità di denaro o di altra cosa mobile altrui, se ne appropria, è punito con la reclusione da tre a dieci anni”. Parlare comunque di processo o pene è ancora prematuro: le indagini sono appena partite e l’inchiesta, per la sua delicatezza, potrebbe essere ancora lunga.

Marco Filippi

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