Dodici sindaci in campo per difendere i punti nascita alpini

Ciotti e l’assessore di Cavalese, Vanzo: «La carenza di medici sta rischiando di far chiudere questi centri fondamentali per chi vive in montagna»
Stefano Da Rin Puppel-Perona-Pieve di Cadore-Inaugurazione Nuovo Pronto Soccorso
Stefano Da Rin Puppel-Perona-Pieve di Cadore-Inaugurazione Nuovo Pronto Soccorso

BELLUNO. Condividere un sistema alpino sanitario, così da garantire i punti nascita sparsi nei territori più disagiati. È questo l’obiettivo di un gruppo di sindaci di varie regioni quali Veneto, Trentino Alto Adige, Lombardia e Piemonte, che si sta muovendo per poter garantire ai propri cittadini un servizio sanitario essenziale, come quello che permette alle donne di partorire in sicurezza, anche se abitano in paesi di montagna.

E tra questi amministratori per il Veneto, c’è Maria Antonia Ciotti di Pieve di Cadore (ma anche il sindaco di Asiago).

A tenere le fila di questo movimento è l’assessore alla salute di Cavalese, un comune di circa 4000 abitanti in provincia di Trento. «Stiamo contattando tutti i sindaci e anche i presidenti delle comunità di valle», precisa l’assessore Giuseppina Vanzo, «che rappresentano quei comuni dove ci sono i punti nascita che hanno le caratteristiche per avere una deroga alla legge nazionale. Legge che vorrebbe che i centri con meno di 500 parti all’anno venissero chiusi. Noi stiamo lavorando per avere una deroga. E per farlo abbiamo bisogno che tutta la politica locale si impegni per questo».

Il problema, come spiegano sia Vanzo che Ciotti, è la fatica a reperire i medici per mantenere aperte le strutture. «Per avere la deroga alla legge nazionale», spiega infatti Vanzo, «i punti nascita devono garantire la presenza, e non quindi la reperibilità, di quattro professionisti: ginecologo, pediatra, anestesista e ostetrica. Ma ad oggi facciamo fatica a reperire alcune figure, come ad esempio ginecologi e pediatri».

Anche Cavalese, infatti, come Pieve di Cadore e l’Usl 1 Dolomiti e tanti altri paesi di montagna si stanno confrontando con la difficoltà a reperire medici. Le aziende sanitarie bandiscono gare e pubblicano avvisi ma all’appello non si presenta nessuno, o quasi. «E qui rischiano di chiudere dei servizi, fondamentali per evitare lo spopolamento delle nostre terre, perché non arrivano i professionisti necessari. Anche il nostro punto nascita», sottolinea Vanzo, «è aperto soltanto nelle ore diurne, mentre alla sera le nostre pazienti sono costrette ad andare all’ospedale di Trento che si trova a 100 chilometri di distanza. I problemi di chi abita in montagna sono questi purtroppo e noi amministratori abbiamo l’obbligo di garantire ai nostri cittadini gli stessi servizi di quelli che abitano in pianura». Per questo i 12 sindaci hanno deciso di far fronte comune e andare avanti sulla strada che dovrebbe portare ad una deroga per le realtà alpine, in merito ai punti nascita. «Abbiamo allertato i politici e a metà febbraio ci troveremo a Trento per concordare le proposte da presentare al Governo, affinché possa mantenere queste strutture e questi servizi anche in montagna. Se tutta l’area alpina è compatta nell’evidenziare che i problemi sono simili, si potranno mettere sul tavolo delle soluzioni valide per tenere le donne qui a partorire, sempre in condizioni di sicurezza». «Tutti ci auguriamo che da questo incontro possa uscire qualcosa di buono per le nostre vallate», dice Ciotti che aggiunge: «Quando mi hanno detto di allertare i nostri politici locali, ho risposto che non ne abbiamo: nessuno pare interessato a tutelare la sanità in montagna».

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