Droga a Lambioi, spuntano i primi nomi dei fornitori: parlano due dei tre arrestati

Interrogati a Treviso Koma Amadou e Faty Lamine: si tirano fuori dal giro. Dicono che la droga era ad uso personale



Comprava la droga, la marjiuana, per uso personale, soprattutto da un nigeriano che lo riforniva: Faty Lamine ha fatto il nome del suo contatto che a Montebelluna, in un parchetto pubblico della città trevigiana, gli vendeva i quantitativi usati personalmente. «Ma non ho mai spacciato, nè ho avuto soldi: sono un saldatore e sto facendo la scuola per idraulico».

Faty Lamine, come il gambiano Koma Amadou, è in carcere a Treviso nell’ambito della indagine “Il posto Magico”. Ieri sono comparsi davanti al gip del tribunale della Marca nell’interrogatorio su rogatoria: entrambi hanno deciso di collaborare con gli inquirenti, nel senso che entrambi hanno risposto alle domande, evitando di avvalersi della facoltà di non rispondere.

A differenza di Hadara Sherif Nema, il richiedente asilo con la posizione più pesante (per lo smercio di cocaina ed eroina, oltre alle droghe leggere), Faty e Loma hanno raccontato la loro versione dei fatti: non collima di sicuro con le prime risultanze dell’inchiesta del pm Marco Faion e della squadra mobile della questura di Belluno, ma hanno parlato.

Il 35enne senegalese (difeso dagli avvocati Ferdinando Coppe e Silvia Zanella) è il richiedente asilo ospitato alla Casa Emmaus, nella zona della parrocchia don Bosco.

Quando la polizia è arrivata all’alba, in quella casa erano ancora tutti in mutande, si apprestavano a iniziare la giornata.

«Mi stavo vestendo quando hanno suonato», spiegano dalla casa. «Hanno bussato, la polizia cercava un nero». Hanno scartato il primo che si è presentato, «poi sono andati su e hanno trovato Faty».

«Hanno ribaltato tutto nella stanza»: la droga era sotto il letto. A Faty sono stati sequestrati una ventina di grammi di marjiuana. Il lavoro di indagini e di riprese del giorno precedente la perquisizione e l’arresto, ha portato la polizia al suo domicilio di richiedente asilo e provetto idraulico.

Al Parco di Lambioi era stato filmato insieme agli altri due compaesani arrestati, durante supposte cessioni di dosi di droga.

A tutti la procura contesta, inoltre, il concorso nei reati, compreso quello di usare i minori come “sherpa” per consegnare droga in giro per la città.

Faty ha sostenuto di conoscere “di vista” gli altri due richiedenti asilo arrestati, ma di non avere relazioni con queste persone. «Sul greto del Piave c’era tanta gente», ha detto al gip, aggiungendo di essere in attesa di lavoro, di frequentare una scuola per idraulico due volte alla settimana e di essere ospite della Casa Emmaus: «Non potevo stare tutto il giorno lì e dovevo uscire». Così con i suoi connazionali andava al Piave: stavano lì e chiacchieravano. Insomma, ha negato di aver ceduto stupefacente, la marjiuana presa a Montebelluna era soltanto per uso personale. Solo un ragazzo italiano avrebbe riconosciuto Faty tra le fotografie segnaletiche: allo straniero verrebbero contestate una ventina di cessioni. La difesa vedrà se chiedere il riesame.

Una valutazione, questa che invece resta ancora per aria per quanto riguarda Koma Amadou, il 22 gambiano difeso dall’avvocato Federica Dalle Mule. Anche lui si è tirato fuori dal giro: «Non c’entro», ha riferito, e la droga (hashish) era per uso personale. Anche Koma non conosceva bene gli altri due stranieri: il rapporto sarebbe stato di semplice conoscenza.

L’inchiesta comunque va avanti: c’è un quarto indagato per il quale è stata rigettata la richiesta di ordine di custodia in carcere. I tre stranieri (Hadara si è invece avvalso della facoltà di non rispondere) restano in carcere.

La squadra mobile diretta dal vicequestore Vincenzo Zonno sta ora cercando di risalire la filiera per arrivare ai nomi dei fornitori a monte dei tre arrestati. Uno di questi in effetti c’è già. —

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