Droni francesi per cercare Calonego e i suoi colleghi
SEDICO. Un silenzio, quello sul fronte del rapimento di Danilo Calonego, che potrebbe far rima con trattativa. Ieri giornata di assoluta riservatezza su tutti i fronti: quello libico, dal quale martedì erano usciti inquietanti riferimenti alla partecipazione di Al Qaeda nel sequestro (data dalle forze armate vicine a Khalifa Aftar, smentita dal governo ufficiale di Tripoli), e quello italiano, con il ministro degli Esteri Paolo Gentiloni impegnato a far rispettare la consegna del silenzio ai più stretti collaboratori.
Di certo, la Farnesina sta lavorando h24 per scrivere il lieto fine di una storia che ha ancora tanti punti oscuri, a partire dall’esatta posizione in cui si trovino, ora, il 68enne di Sedico, il suo collega Bruno Cacace e un terzo lavoratore italo canadese della Conicos.
Che una trattativa sia in corso è verosimile, visto il massimo riserbo delle parti, ma non certo: «Dare troppe informazioni farebbe il gioco del nemico, per questo il ministro Gentiloni ci ha imposto il silenzio», spiega un parlamentare veneto che nelle scorse ore si è confrontato con il responsabile degli Esteri. «Possiamo soltanto dire che i familiari devono fidarsi della Farnesina. Ha i rapporti e i canali giusti».
Il colonnello Ahmed al-Mismari, che ha ventilato il coinvolgimento di Al Qaeda, non è considerato una fonte attendibile dalla Farnesina, che conta esclusivamente sulla collaborazione dell’esecutivo “ufficiale” di Tripoli, quello di al-Serraj: «Il ministro è irritato dalle ultime uscite di al-Mismari, non ci sono prove del coinvolgimento dell’organizzazione terroristica».
Da Sedico, intanto, i familiari di Calonego continuano a tenere le dita incrociate in attesa di buone notizie. L’apprensione è tanta: il tecnico 68enne ha bisogno di assumere quotidianamente farmaci per la pressione, le figlie Pamela e Simona continuano a non dire nulla all’anziana mamma Gilda, malata, che vive nella casa accanto a quella di Danilo, nella borgata di Casate a Peron. Drammi privati sullo sfondo di un contesto internazionale complicato.
Una speranza in più per la famiglia di Calonego arriva dall’esercito francese, che ha una base in Niger (non distante dal luogo del rapimento) da cui potrebbero alzarsi in volo droni e velivoli tattici alla ricerca dei tre dipendenti della Conicos scomparsi nel nulla lunedì mattina.
La storia recente dice che i sequestri di lavoratori italiani in Libia non si sono mai risolti in tempi brevi. Ci sono voluti otto mesi per liberare Gino Pollicardo e Filippo Calcagno, operai della Bonatti, a marzo di quest’anno (due loro compagni, tuttavia, rimasero uccisi nello scontro a fuoco tra fazioni ribelli). Si trovavano nei pressi di Sabrata, popolosa città sulla costa settentrionale, e i loro carcerieri non li avevano mai allontanati da lì.
Calonego e i suoi colleghi, invece, sono stati prelevati in un’area desertica, fatta di (pochi) villaggi e sterminate distese di dune e montagne, nella zona sud-ovest della Libia al confine con l’Algeria.
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