Dumia, migranti in calo ma più seguiti

Sono 90 gli stranieri alla cooperativa: due anni fa erano 120. La Caritas: «Ma l’emergenza è quando cessa l’accoglienza»

FELTRE. Sono scesi da 120 a 90 i migranti accolti e gestiti dalla cooperativa Dumia e distribuiti fra il complesso di via Volturno – dove nella parte nuova è stata allestita una sezione residenziale – e altri otto appartamenti fra Feltre, dove c’è l’aggregazione maggiore, e Santa Giustina. Mentre è aumentato il numero di operatori che li segue e anche l’attenzione ad eventuali comportamenti anomali.

Due anni fa, in concomitanza con l’emergenza di arrivi oltre le previsioni, in regime di emergenza Feltre è arrivata ad ospitare 120 profughi. Negli anni non sono poi mancate le espulsioni, per la reiterazione di reati o la non osservanza alle regole. Al momento si contano otto casi di ragazzi problematici, per caratterialità e comportamenti violenti. E nonostante il capitolato non preveda che gli operatori si trasformino in 007 e vadano a frugare fra le cose degli ospiti, c’è attenzione a quanto viene notato e segnalato dai cittadini.

Per cui non sono mancate e non mancano le segnalazioni ai carabinieri di Feltre, nero su bianco con posta certificata, che rispondono alle richieste di intervento anche con l’unità cinofila.

Non sono stati solo questi gli argomenti di cui si è parlato l’altra sera, alla riunione “Popoli in movimento”, titolo del ciclo di incontri organizzato da Cisl Belluno Treviso, Azione cattolica e cooperativa Dumia di Feltre, nella sala parrocchiale di Santa Maria degli Angeli. A tenere banco, considerato il tema della migrazione nel Feltrino, è stata la Dumia, rappresentata dal presidente Jacopo Polli e dai suoi più stretti collaboratori.

Si è data risposta alla consigliera comunale Nadia Forlin che ha posto dei quesiti, interpretando anche il comune sentire della popolazione. L’occasione è stata quella di mettere in luce tutti gli aspetti del soccorso e dell’accoglienza su suolo italiano, dallo sbarco via mare sulla rotta del Mediterraneo o dal flusso via terra che arriva dalla rotta dei Balcani. E il grosso lavoro che impegna intere équipes multidisciplinari, quando i migranti sono destinati dalle prefetture ai vari territori nazionali.

«In virtù di una collaborazione proficua ed equilibrata con la prefettura di Belluno, che è fra quelle che lavorano meglio a livello veneto», ha detto il presidente Polli, «dal 2011 ci siamo adeguati agli standard imposti, a tutela degli ospiti e delle comunità che accolgono. Abbiamo dodici dipendenti in più che caratterizzano l’équipe multidisciplinare e che hanno il compito di gestire il percorso del migrante nell’acquisizione di un’autonomia crescente, dalle procedure burocratiche alla richiesta di visita dal medico curante e di altre visite specialistiche. Anche in vista della cessazione dell’accoglienza in regime di protezione, quando cioè, terminato il tempo concesso dallo Stato, devono uscire dalla struttura e cercare la propria strada».

E il tempo, con il decreto Minniti, si è accorciato. È qui che cominciano i guai. Perché quando i migranti sono chiamati in commissione a Treviso per l’audizione, una specie di tribunale, ha detto l’educatrice Giorgia Pauli Li Castri, possono godere di due tipi di protezione decisa dai membri della commissione: quella internazionale e quella umanitaria. Un’invenzione, quest’ultima, tutta italiana che non né precedenti né seguito in Europa.

«Se tutto va bene, il profugo perde il diritto di accoglienza, scaduto il suo tempo, e può usufruire del progetto Sprar (Sistema di protezione per richidenti asilo e rifugiati). Ma gli Sprar sono moduli di una trentina di persone e si dà precedenza ai disabili psichici, alle donne con bambini e ai minori non accompagnati».

«Se va male», ha spiegato l’educatrice, «cioè se il “giudice” della commissione non è convinto dei dettagli sui quali ha indagato, ossia il motivo per cui si è lasciato il paese di origine, e non considera attendibili le argomentazioni, si apre un altro capitolo, quello del procedimento di ricorso, accolto e valutato dal tribunale di Venezia. Il giudice può risolversi la decisione in un giorno o in un anno, più facilmente prevale la seconda ipotesi considerato l’intasamento di procedure e pratiche. Il ragazzo, nel frattempo, si trova in mezzo a una strada, in attesa del terzo grado di giudizio, la Cassazione, dato che in questo caso è abolito l’appello».

Nel frattempo, dopo un anno e poco più di educazione alla quotidianità, per imparare quanto costa un chilo di pane o come si prenota una visita dal dottore o come si prende un treno (tenendo conto che per cinque anni è proibito tornare al paese da cui si è fuggiti), il giovane è senza un tetto e senza un lavoro. Emigra in grandi città, dove fa il senzatetto di importazione.

«La vera emergenza è questa», ha sottolineato Rino Dal Ben della Caritas che nel 2011, come associazione, aveva collaborato all’accoglienza, in occasione del primo flusso di migranti. «È il fatto che si creano altrove sacche di disagio e che i giovani migranti sono esposti al rischio di delinquere».

E l’assessore alle politiche sociali, Debora Nicoletto, ha fatto un appello sulla necessità di fare rete in un territorio, come quello feltrino, «dove la comunità è accogliente e attenta e dove grazie al principio del buon vicinato, si può esercitare un controllo civile e affettuoso nei confronti di chi si ritrova senza nulla». L’assessore ha auspicato la strutturazione di un sistema Sprar «che è più evoluto e che può dare maggiore dignità a queste persone».

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