Duomo gremito per Stefano

In tanti ai funerali del 48 enne: «Se n’è andato nell’ambiente che amava di più»

FELTRE. Il Duomo è gremito di volti dai tratti maturi, incorniciati da piumini dal taglio sportivo e costellati da sguardi increduli. Gli occhi si abbracciano ma perlopiù si scansano, forse per non condividere lo sgomento di quel momento. Dire addio a Stefano Mottes per un incidente in montagna, da esperto escursionista quale era, non è facile. Soprattutto per bocca di chi ha condiviso con lui tante attività, come la canoa, l’arrampicata, il paracadutismo. «È morto in un incidente», esordisce un amico nel salutarlo al termine del funerale di ieri pomeriggio. Il 48enne feltrino ha perso la vita giovedì pomeriggio a seguito di una caduta, probabilmente dovuta a una scivolata su un lastrone di ghiaccio, nel vallon della Cavallara, all’interno del gruppo del Lagorai.

«Era una giornata di sole, la neve era stabile e lui conosceva molto bene quella montagna: forse gli si è aperto un attacco, forse è stato un momento di distrazione. Purtroppo non lo capiremo mai. Ma siamo certi della sua grande prudenza: lui era il primo a sollevare dubbi quando le condizioni non erano quelle ottimali. Con lui sono sceso per quasi tutti i nostri torrenti», ricorda l’amico, rappresentando i ricordi di molti altri, «Stefano è stato fra i primi a comprare l’attrezzatura per il volo libero, 30 anni fa. Una volta si è infilato in volo in una nuvola grigia, a dispetto della nostra preoccupazione, per vedere cosa c’era dentro. Amava la libertà e odiava le ingiustizie. Sognava un posto dove poter vivere di pesca e di frutti della natura».

La consolazione dietro a tanta sofferenza forse sarà soltanto una: «Dobbiamo ricordare che ha concluso la sua vita in montagna, che era l’ambiente che amava di più». Montagna che ha imparato a conoscere fin da piccolo, da quando è entrato a far parte di un gruppo scout. «Attraverso lo sport in natura cercava la vita», sottolinea il celebrante durante l’omelia, «invece non ha mai cercato il successo, ha sempre vissuto di ciò che gli bastava e questo è un grande messaggio per le persone che vogliono la vita facile. Era uno spirito irrequieto, sempre alla ricerca. A lui bastava l’essenziale».

Poi passa lo sguardo alla foto dell’epigrafe: «Ha lo sguardo indirizzato verso una meta mai raggiunta», immagina il parroco, «questo è il vero mistero della vita, che lui ha accarezzato tante volte durante le sue ascese. Ecco, adesso penso che sia arrivato alla sua ultima meta».

Francesca Valente

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