È caccia agli arruolatori della «guerra santa» in Siria

A Chies d’Alpago la famiglia Karamaleski nell’incubo dopo la scelta di Mustafer, «Nessuno avrebbe mai pensato che potesse combattere in Medio Oriente»

LONGARONE. Bussano i carabinieri alle porte della jihad. Perquisizioni e sequestri di computer e documenti in provincia di Belluno, tra Chies d’Alpago e Longarone. L’operazione coordinata dai Ros di Padova, nell’ambito dell’inchiesta della Procura della repubblica di Venezia ha portato i militari nelle abitazioni di Munifer Karamaleski, nella frazione di Palughetto e Pierangelo Pierobon, in quella di Codissago. Gli indagati sarebbero cinque, di cui uno residente nel Bellunese e l’ipotesi di reato è quella di arruolamento con finalità di terrorismo.

La caccia è ai reclutatori, cioè quelle figure, che a forza di sermoni hanno convinto lo stesso il macedone Karamaleski e il bosniaco Ismar Mesinovic a partire insieme per la Siria e andare a combattere, tra le file dei ribelli il regime del presidente Bashar al-Assad. Mesinovic è morto in battaglia dalle parti di Aleppo, mentre non ci sono notizie fresche sull’operaio trapiantato in Alpago, dopo che solo a settembre la sorella Sebil aveva detto di averlo sentito telefonicamente, via Skype.

È più o meno l’ora in cui papà Mustafer Karamaleski parte da casa, per andare a lavorare, come muratore in un’impresa edile di Puos d’Alpago, quando vede parcheggiare in via del Cansiglio due auto dei carabinieri. I militari cercano lui, la moglie Rahima e i cinque figli: li portano in caserma, per provvedere alla perquisizione. Torneranno anche abbastanza presto, tranne il capofamiglia e decideranno di non aprire l’uscio a nessuno. Ci sono due passeggini davanti alla casa, il camino fuma allegro e si sentono delle voci infantili, ma nessuno vuole parlare. Più o meno lo stesso procedimento a Codissago, dove vive Pierangelo Pierobon, un longaronese convertito all’Islam, che ha conosciuto e frequentato sia Mesinovic che Karamaleski, dopo averli incontrati alla moschea del centro culturale Assalam di Ponte nelle Alpi. Ma non è mai stato in Siria in vita sua, anzi adesso ha anche trovato lavoro, proprio a Ponte.

I militari di Puos d’Alpago e Longarone hanno lasciato le case visitate con tutto il materiale ritenuto interessante: computer personali e documenti, che potrebbero contenere dati importanti per le indagini condotte dai magistrati veneziani. Il Comando di Belluno non aggiunge altro, precisando di aver messo solo a disposizione dei militari. Non c’è nemmeno la conferma che si sia trattato di perquisizioni e sequestri.

Certo, non è stata una mattina come qualsiasi altra, in luoghi così minuscoli, che due auto dei carabinieri rischiano di essere traffico intenso: «Le abbiamo viste tutte», racconta una vicina di casa dei Karamaleski, «e in un primo momento abbiamo pensato che ci fossero cattive notizie, a proposito di Munifer, o della giovane moglie, o ancora delle tre figliolette. È consolante almeno il fatto che queste non siano arrivate e continui a esserci la speranza che stiano tutti bene, anche se in un teatro di guerra».

Tutti la pensano alla stessa maniera sui Karamaleski: «È gente perbene, che sta subendo un vero assedio da parte dei media. Non mi sorprende che non aprano a nessuno, dal momento che tanta gente è arrivata fino a qui, con l’unico intento di strappare delle dichiarazioni o di violare la loro sacrosanta privacy. So per certo che Mustafer non ha condiviso la scelta del figlio maggiore di partire per la Siria e andare a combattere. Addirittura non lo riconosce più come tale. È una persona integrata, che lavora e mantiene la famiglia. Lavorava anche Munifer, prima di decidere di cancellarsi dall’anagrafe del Comune di Chies, in un primo momento per tornare in Macedonia. Nessuno avrebbe mai pensato alla sua scelta di andare a combattere in Medio Oriente contro Assad».

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