E un filo trovato a casa dell’indagatocombacia con quello di una bomba
MESTRE. Se l’esame del toolmark sul lamierino trovato nell’ordigno rinvenuto integro nella chiesa di Sant’Agnese a Portogruaro era considerata una prova contro Elvo Zornitta, c’è una prima analisi che collega un pezzo di filo elettrico trovato in un altro ordigno integro e del materiale sequestrato a casa Zornitta. E’ stata quella prova a spingere gli investigatori, in particolare Ezio Zernar, direttore del Laboratorio investigazioni criminalistiche, a insistere sulle prove del toolmark. L’ordigno è quello trovato sotto alla sella di bicicletta nel luglio di due anni fa a Portogruaro.
Luglio 2005, quattro mesi dopo l’attentato nel duomo di Motta di Livenza dove rimase ferita la piccola Greta, Unabomber torna ma fallisce. Come già era accaduto in passato: l’ordigno non è esploso. Questa volta, era stato sistemato sotto la sella di una bici da donna. Un sabato pomeriggio la proprietaria, una giovane di Portogruaro, va a riprendere la bici nei pressi della stazione dove l’aveva parcheggiata; ci sale sopra e vede cadere a terra un tubetto. Subito pensa a Unabomber e grida: «C’è una bomba, c’è una bomba». Poi chiama il fratello e la polizia. Sul posto arrivano gli artificieri e gli investigatori del pool che indaga sull’a ttentatore.
Smontato l’ordigno vengono recuperate le varie parti che lo compongono. A Zernar, in quel momento deriso dai carabinieri del Ris che lo accusano di vedere troppo «Csi» in tv, viene in mente di ricercare sugli oggetti sequestrati tracce riconducibili all’i mpiego di utensili. Prove che tecnicamente vengono chiamate «toolmarks». A quel punto vengono anlizzati da Zernar una treccia di fili in rame trovati nell’ordigno sotto la bicicletta, un cavo elettrico trovato nel congegno di innesco dello stesso ordigno, una porzione di cavo elettrico arricciato su un potenziometro sequestrato a Elvo Zornitta e un altro cavo elettrico sempre sequestrato all’ingegnere.
Da un primo esame al microscopio Zernar si accorge che sui cavi sono impresse tracce di utensili. Sul cavo appartenuto al congegno di innesco dell’ordigno ci sono una serie di microstriature molto probabilmente dovute all’impiego di uno spellafili. Impronte simili sono state riscontrate nel cavo sequestrato a casa di Zornitta. Vengono comparate le parti interessate dalle striature dei cavi e si notano in quel momento diversi punti di coincidenza.
Allora Zernar fa la stessa analisi sulla «treccia» appartenuta all’o rdigno che presenta una serie di microstriature dovute all’impiego di un utensile. Numerose impronte poi vengono riscontrate sul secondo cavo sequestrato al sospettato. Ma tra gli utensili trovati a casa Zornitta non ce n’è uno comapatibile con quei tagli e con quelle tracce. E’ comunque possibile, secondo Ezio Zernar, che siano stati impiegati strumenti comuni per tagliare i vari cavi.
Gli investigatori del pool anti-Unabomber decidono di battere la pista dei «toolmarks». Sequestrano ulteriori strumenti a casa dell’i ngegnere Zornitta e inizia la comparazione tra gli stessi e le varie componenti degli ordigni trovati integri nella chiesa di Sant’Agnese a Portogruaro e sotto la sella della bicicletta sempre nell ittadina del Lemene. Si arriva quindi al famigerato lamierino e alla prova che per il momento non è prova.
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