Ecco chi era «quella del Vajont»

La biografia di Tina Merlin, una donna bellunese «contro»

Può darsi che vent'anni non siano ancora sufficienti per capire che tipo di vuoto ha lasciato Tina Merlin, chiudendo gli occhi per l'ultima volta su una stanza dell'ospedale civile di Belluno. E' il primo pensiero che viene, dopo duecento e poche pagine tutte da leggere di corsa, perché la storia che ne esce è di quelle che bussano direttamente lì alla bocca dello stomaco, dove stanno a dimora, insieme, la sorpresa, la rabbia, la voglia di reagire e, in una parola: la coscienza. «Quella del Vajont» (Cierre edizioni, 211 pag., 14.50 euro) dovrebbe essere, a firma di Adriana Lotto, una biografia. Ma i confini del semplice resoconto di una vita questo libro se li lascia sempre più indietro, man mano che ci si addentra nei nove capitoli in cui l'esistenza di Tina Merlin ("una donna contro", come da sottotitolo) viene suddivisa.

E senza rimpianti. Non che venga, per questo, tradito il rigore della ricerca storica. Anzi. Nessun passaggio, nessun episodio, nessun personaggio trascorre in queste pagine senza il supporto del documento: e il documento principe scelto da Adriana Lotto è proprio quello - diretto, ma in differita - della voce di Tina Merlin. Carte, lettere, riflessioni, stralci di articoli, testimonianze, interviste: tutto riordinato e messo in fila lungo il nastro di una esistenza raccontata in maniera asciutta, lasciando che siano i fatti stessi a commentarsi. Niente agiografia, niente perorazioni: basta quello che è stato. Ecco: «Quella del Vajont» non è solo la prima biografia completa e organica di Tina Merlin nei vent'anni dalla scomparsa. Non è solo il tentativo di restituire voce a una donna che è stata, nella stessa vita, contadina, giornalista, partigiana, domestica, segretaria, casalinga, scrittrice, madre. «Quella del Vajont» è, principalmente, la radiografia di una esistenza esposta in più riprese alla coincidenza tra macro e microstoria: in virtù della manifestazione di un pensiero "civile", di cittadina, di appartenente a una comunità, dunque espressione di una civiltà.

La voce di Tina Merlin esce dalle pagine del lavoro di Adriana Lotto con un rigore che fa male. E che fa pensare. E' il rigore che, staffetta partigiana, la costringe a spiare nella cella mortuaria e a riconoscere dalle gambe nude il corpo morto di suo fratello Toni. Il rigore che non le fa abbandonare, dal 1943 al 1990, la volontà di cercare gli ultimi momenti di vita in Russia dell'altro fratello, Remo: disperso in guerra. Il rigore che le fa spendere energia, tempo, pensiero da una commissione e all'altra tra le fila del Partito Comunista, a battagliare contro le strategie per contenerla in ruoli secondari, a svelare il tentativo di incastrarla in un finto scandalo pur di non cederle una candidatura di rilievo. «La mia vita è stata difficile, povera economicamente, dedita soprattutto al lavoro - dice Tina - ma in realtà è stata ricca e stupenda, colma di esperienze importanti, gioie, dolori, amori, lotte. Sono soddisfatta di averla vissuta come l'ho vissuta. L'unica cosa che mi rompe le palle è di dover morire una volta o l'altra».

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